lunedì 6 settembre 2010

Nati con la camicia?



L’avevo detto proprio tre anni fa (“Ma va a farti visitare in India”, 3 settembre 2007): la festa del lavoro di oggi (il primo lunedì di settembre negli USA n.d.r) potrebbe non corrispondere al lavoro di domani. Così è stato: il tasso di disoccupazione americano è salito al 9%.

L’America ha ormai riconosciuto il tasso di disoccupazione più elevato del dopoguerra. Gli economisti temono che possa alzarsi sopra il 10%. Chi non ha un posto lo cerca e intanto si arrabatta con qualsiasi lavoretto pur di mantenere la famiglia. Chi l’ha vive nel terrore di poterlo perdere (perché capita anche questo: qui tutti si comportano da padroni delle ferriere, se possono). Perciò i tanti beni di consumo e gli ultimi ritrovati tecnologici come l’i-pad sono molto lontani dalle tasche degli acquirenti naturali di qualche anno fa. Nessuno, però, ha la sfacciataggine di lamentarsi del calo dei consumi.

Il trauma è invece spesso interiore. Anche se gli economisti hanno spiegato in dettaglio le ragioni della congiuntura, è difficile mettere a tacere il senso della responsabilità personale di chi è nato e cresciuto in una cultura protestante. I disoccupati si alzano di notte, mentre la famiglia dorme, a chiedersi come mai la sfortuna sia capitata proprio a loro. Per loro, la disoccupazione diventa la misera a cui Dio li ha predestinati da prima della nascita; ammazzarsi di lavoro di continuo per scongiurarla non è stato abbastanza.

Il disoccupato ha paura non solo di non trovar lavoro, ma soprattutto di perdere l’amore della famiglia e la stima degli amici. Il disoccupato teme soprattutto di essere segnato a dito come loser, come sfigato. Teme che la moglie si penta d’averlo sposato, che i figli si vergognino di essere suoi, che gli amici lo evitino per paura di finire come lui, che i futuri datori di lavoro non lo vogliano assumere perché lo vedono come loser, sfigato e destinato al male.

Non ho saputo di suicidi, per fortuna (anche se non mi sorprenderebbero), ma solo di un aneddoto particolare. Esultando di fronte all’invito a un colloquio di assunzione, un senza lavoro si accorge di aver fatto tali economie da non avere una camicia in stato decente, quindi ne compra una; e non per fare bella figura, ma per non dimostrarsi sconfitto, per nascondere il bisogno e la povertà. Dopo l’esito negativo del colloquio, trema al pensiero di aver speso soldi in vestiti e non in cibarie per la famiglia.

Il Labor Day del 2010 è quindi dedicato a chi ha perso il lavoro, perché nessuno al mondo è nato con la camicia.

Andrea Malaguti

1 commento:

  1. http://www.paolaup.it/stampa/uomini-lavoro-olivetti-3.html
    Uomini e lavoro alla Olivetti

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