martedì 23 marzo 2010
La fotografia di cinema
Padova Aprile Fotografia 2010
6ª edizione
LA FOTOGRAFIA DI CINEMA
Testo critico di Giorgio Tinazzi
Ci sono più modi per riproporre alla nostra memoria un film. Con l’avvento della
videoriproduzione (un passaggio d’epoca, si sa) la via più semplice è, dopo quella
dei nastri, quella del dvd. Una volta, non proprio tanto tempo fa, le strade erano
forzatamente diverse; a sostegno del ricordo si ricorreva alla sceneggiatura,
quando era pubblicata o comunque accessibile. Era un modo improprio, perché un
progetto è altra cosa rispetto a un’opera realizzata, ma in qualche modo serviva.
Altre volte si ricorreva come appoggio – parziale fin che si vuole – al lavoro do uno
“strano” addetto ai lavori, il fotografo di scena. Strano mestiere, importante e il più
delle volte misconosciuto. Segue da vicino la lavorazione di un film, sta accanto
alla sua crescita, ma alla fine quasi non compare, spesso nemmeno nei titoli di
testa o di coda. Contrariamente alla generalità degli altri fotografi, che carpiscono il
momento o l’occasione e la lasciano, vive con il suo soggetto.
Questo lavoro di documentazione ha due facce, abbastanza differenti. Da un lato
duplica (duplicava, come vedremo) dal vivo molte inquadrature, cercando di
mettersi il più possibile dal punto di vista del regista. Fornisce una sorta di biglietto
da visita di un film; sono le foto che compaiono, spesso prima della sua uscita, sui
giornali, e poi sulle riviste, o che lo accompagnavano (l’uso dell’imperfetto è ormai
quasi d’obbligo) come illustrazione, nelle “locandine” esposte fuori dalle sale
cinematografiche . Va comunque detto che non era solo, o tanto, un lavoro
subordinato a quello del regista, perché in fondo era il fotografo a scegliere il
tempo giusto, quello da “fermare”. Alcune icone depositate nel nostro immaginario
derivano da immagini di scena, basti pensare a Anita Ekberg che si bagna nella
fontana di Trevi, ripresa da Pierluigi Praturlon.Alle volte, per gli studiosi ma non
solo, quelle foto possono diventare materiale informativo aggiuntivo, nel caso di
parti soppresse o censurate di un film. Riprova è che, di recente, è stato ricostruito
un diverso finale di 8 e 1\2 che Fellini aveva ipotizzato, grazie a una
documentazione di scena.
L’altro modo di intendere questo lavoro, che permane e si sta estendendo e ancor
più qualificando, è più “libero”, più autonomo dal regista: il fotografo si muove sul
set, riprende a suo modo l’autore o i coautori o gli attori, spia i gesti, le attese,
ricostruisce insomma un’atmosfera. Dà il senso di un mestiere (e della “macchina
cinema”) che si sta svolgendo e lo affianca aggiungendo del proprio: i preparativi
di un’inquadratura, comportamenti imprevisti, ritratti inediti, visi, tra partecipazione
e –è il caso di dirlo- giusta distanza. Lo si vede nelle immagini esposte in questa
mostra, ben poche tra le tante scattate: vengono sottolineati momenti
figurativamente forti, come ad esempio Isabella Ferrari ritratta da Giovanni Umicini
nel negozio di parrucche sul set della Lingua del Santo, o le pie donne dietro le
spighe di grano “fermate” da Lucia Baldini in Passione; sono colte pause non
inerti, Carlo Mazzacurati sul set nebbioso di Vesna va veloce, mentre
probabilmente sta immaginando un’inquadratura (“quando è bene non avvicinarlo”
dice Umicini); si dà risalto a un momento saliente di un’opera (la processione
popolare in Passione), o a un tratto fondamentale dello stile di un regista (i
paesaggi della Giusta distanza); si documenta il lavoro continuo con gli attori. E’
un reportage sul campo, una specie di occhio privato, che in qualche modo
assomiglia alla curiosità del detective.
In fondo è anche qualcosa di più, perché si sta narrando una storia, quella di un
film che si sta costruendo. E come sempre,ognuno la racconta a suo modo, a
seconda dell’oggetto (la diversità dei film di Mazzacurati, pur tenuti assieme da un
filo conduttore), e dello stile personale (Lucia Baldini ha caratteristiche diverse da
Giovanni Umicini).
Un lavoro in lento esaurimento quello del fotografo di scena? Potrebbe sembrare
se si pensa a come – da tempo - i dvd in commercio affianchino alla riproduzione
di film anche riprese sul set, interviste, appunti di lavorazione. Ma non è così.
Quelle foto sono un’altra cosa. Hanno l’“aura” dell’attimo afferrato, o del caso
rivelatore. La memoria, soprattutto quella del cinema, si nutre anche di questo
tempo apparentemente perduto.
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