Mi sento fortunato ad averlo. Mi sento riposato ora che ho percorso tanti decervellamenti
vari per capire dove potesse trovarsi. Che poi alla fine è bastato
spulciare tra i crediti e fare una telefonata. Una soltanto. E ad oggi a
casa mia c’è una copia di “Arcipelago Chieti”, prima stampa del 1988,
pubblicato da Edizioni Tracce di Pescara. L’autore è un certo Ivan
Graziani, quello degli occhiali rossi, quello della chitarra rock da
cantautore fuori dagli schemi, quello di “Monna Lisa” tanto per capirci.
Ivan Graziani che abbiamo tanto amato e che ci ha lasciato troppo
presto, quello che oggi torna di moda e fa un rumore mediatico che in
vita forse non ha mai fatto (accade sempre così, viva l’Italia e gli
italiani di tutte le età). Questo insegna ancora come i discorsi di oggi
per lo sport alle lamentele nazionali, sono triti e ritriti ormai da
generazioni. Lo insegnava Pasolini ma forse lo insegnava anche Dante. Ma
andiamo avanti.
Sorprende,
ma in realtà non è una novità, scoprire un Ivan Graziani maestro anche
del pennarello e delle incisioni d’arte: numerose mostre sono state
portate in lungo e in largo per l’Italia - non ultima quella curata
dall’amico e artista Francesco Colafella, proprio qui a Chieti,
intitolata per l’appunto “Arcipelago Chieti”. E, manco a dirlo, il
disegno di copertina di questo libro è opera sua, di Ivan, dal titolo
“Uomini in volo”, un’incisione all’acquaforte realizzata proprio a
Pescara, allo Studio Calcografico Urbino. Perché tutto questo accadeva a
due passi da casa mia, scrittura, incisione, confezione, pubblicazione.
E per noi anche due passi, a volte, sembrano montagne invalicabili.
Sembrano deserti di pietra. Quindi ho spento i social, la televisione e
tutte le chat e sono uscito a fare due passi.
Novembre - Dicembre 1971.
“Fante
Graziani, in servizio al 40º reggimento fanteria della caserma Mameli
di Bologna provvisoriamente ricoverato all'ospedale di Chieti [ex, dovremmo dire oggi] per
presunta ulcera duodenale bulbare e titolato all'Accademia delle belle
arti di Urbino con la qualifica di Maestro d’arte in pittura”
Quello
che resta di quel “suo” tempo, almeno per noi, è un diario di bordo,
una sequela di fotografie romanzate di quella vita da caserma e da
ospedale militare, consumata nel rigore della disciplina e nella scomoda
estetica di una divisa: Arcipelago Chieti è il rifiuto di Ivan
Graziani verso la vita militare, un rifiuto che si dimostra sfacciato e
totale e si fa anche ironico e pungente al tempo stesso. Ci affascina
con un pizzico di cinismo e due pugni di fantasia… ah quella fantasia,
caro Ivan, quella che per forza hai dovuto sfogare giorno dopo giorno,
come potevi, inventando giochi e personaggi e favole surreali. E allora
sotto a scriverci su. La vita di caserma per un artista è una condanna
di morte spirituale: di fronte c’è solo il grigio strutturato senza
apparente logica di una vita fatta e cadenzata dalle normative, dai
gradi, da tutte le classi e le classificazioni, dai rigori e dalle
maledette gerarchie. Tutto questo è riassunto proprio in una divisa. Il
significato che ne deriva tra le righe mi arriva forte in faccia come
uno sputo che fa montare la rabbia e la rivoluzione: la divisa è il
mostro che fa diventare tutti uguali, depositati in compartimenti stagni
e pronti per il “macello”. E cade a fagiolo la meravigliosa “Favola di Natale”,
un fuori pista dalla stessa narrazione: eccovi una parentesi di
psichedelia pura che Wallace avrebbe ficcato ovunque ci fosse stato
spazio tra un capitolo e l’altro. Eccovi quel certo ingrediente che
spezza la storia e che probabilmente ai superficiali di bocca veloce
passa inosservato o al più come un bel sogno regalato al lettore. Eccovi
invece il motivo che dà un senso a tutto questo piccolo libro. In
questo capitolo l’uomo è in batteria come i polli mentre sono proprio i
pennuti i veri macellai. Le parti si sono invertite.
La
narrazione dicevamo: forse sono io a volerci vedere troppo oltre le
righe del testo ma ho la sensazione che sia assolutamente
un’avanguardia, per quel 1971, il suo modo strafottente di usare la
metafora della vita militare per condannare la stupidità di un certo potere politico che ancora oggi dà voce all’attualità di tutti. Ivan lo racconta e lo subisce e un poco recita anche la parte.
E
riprendiamo il concetto di divisa: provate a immaginare quanta dolorosa
solitudine possa restituire l’uniforme militare che rende tutti uguali
ad un uomo che ha la sensibilità artistica per celebrare gli altri
uomini proprio osservandone e catturandone le loro infinite diversità.
Un dramma.
Arcipelago Chieti
è quindi un coacervo di fotografie dal sapore agrodolce: questo dramma
diviene l’assurdo teatrale di certi personaggi che un poco ci fanno
sorridere e un poco si mescolano al grigio torpore dei cattivi pensieri,
lo stesso grigiore che arriva da dietro le finestre dove ci racconta di
una città avvolta nella solitudine e nel silenzio, di un bigottismo
della classe piccolo borghese e di una nebbia, quella maledetta nebbia
che nasconde i viali e la faccia delle persone, ne confonde i tratti e
rende tutto di nuovo maledettamente uguale… proprio come fanno i superiori
dell’ospedale militare. Però alla pagina dopo l’assurdo teatrale torna
esilarante ed è capace anche di tirarti via una risata di gusto questo
Ivan Graziani.
Ho
raggiunto Anna Graziani, la moglie. Le ho rubato qualche minuto e
qualche parola che potesse lavarmi via di dosso la curiosità. Capisco
ancora meglio come Arcipelago Chieti sia stata la salvezza per
Ivan, come un libro si sia tramutato in quel filo che ancora poteva
tenerlo legato alla realtà delle cose, alla sua dimensione del vero e
del bello, quella in cui si muove vigile, geloso di sé e della sua
ricchezza capace di conoscere e riconoscere, di pensare e di
manifestare. Arcipelago Chieti è uno dei tanti segreti che
aveva nel cuore e che lo hanno reso quell’Ivan Graziani li, quello degli
occhiali rossi, quello della chitarra rock da cantautore fuori dagli
schemi, quello di “Monna Lisa” tanto per capirci.
1971… che ricordi hai?
Sono passati? Oltre 40 anni… caspita!!!
Andavo
a trovarlo a Bologna dove faceva il militare. Per me era più semplice
raggiungerlo visto che mia sorella faceva l’università lì. Mi ricordo
che si usciva e si andava a spasso per la città e lui era terribilmente
affamato. Davvero!!! Ci si fermava sempre ad una salumeria all’epoca
famosa, di un certo Tamburini… una salumeria enorme e ovviamente i due
diventarono amici. Beh certo, non è che facesse la fame dentro la
caserma ma insomma, vuoi mettere la salumeria contro la brodaglia della
mensa? E poi andò a Chieti, all’ospedale militare e lì ci fu proprio la
“disperazione” per lui, la visse proprio male. Ma da una parte era anche
divertente. Ricordo quando diceva che aveva imparato a fare le punture.
Eh caspita, aveva davvero imparato a farle. È capitato che le facesse
anche a me e posso testimoniare che almeno in questo è servito. Poi ti
dico anche questa: Ivan aveva uno zio al tempo Colonnello ma poi
divenuto Generale dell’esercito. E quando ebbe la chiamata al servizio
di leva gli parlò sperando di poter godere di alcuni privilegi… e invece
lo zio si rifiutò, militare in tutto e per tutto, rigido: no, tu fai il
militare come lo fanno tutti. Quindi anche sotto questo punto di vista
non ebbe neanche una comodità e che dirti: la disperazione era totale
quando è partito.
Ennesima
testimonianza di come Ivan non era affatto soltanto un cantautore. Che
la musica fosse solo un corredo pubblico ad un’espressione più ampia ma
come dire “personale”?
Vedi
Paolo, erano tre binari che andavano paralleli. Musica, scrittura e
disegno. Stava scrivendo anche nuove cose ma purtroppo non ha fatto in
tempo. Delle volte si svegliava in piena notte e andava in salone, si
sedeva davanti al foglio bianco e mi diceva - “Tu non hai idea,
affrontare un foglio bianco con un magic marker mi procura la
stessa emozione di quando trovo una soluzione per quello che sto
scrivendo o magari di quando scopro la magia di due accordi nuovi per
quella canzone.” Ivan era tutto questo assieme.
Salvarsi. Questo ha significato Arcipelago Chieti?
Salvarsi, certo. Salvarsi proprio dall’incongruenza, dall’incoerenza. Lui mi diceva spesso: non è possibile che queste persone ragionino in questo modo.
Era completamente vittima di un sistema di relazioni ma soprattutto di
regole fuori dalla sua “normalità”… per non parlare dei personaggi che
eri costretto a subire ogni giorno, dalla compagnia agli ordini, perché
il servizio di leva non era volontario, anzi.
Noi questo libro lo inseguiamo oggi, lo compravamo allora. Ma tu come lo hai incontrato?
Ma
guarda, devo dirti che a questo romanzo io ci sono arrivata davvero per
gradi perché nel sentirci quasi quotidiano lui spesso mi parlava di
quel che stava scrivendo, mi leggeva quel che aveva già scritto. Vedi,
lui mi teneva sempre aggiornata, mi faceva partecipe di ogni step, di
ogni sviluppo e non solo nella scrittura. Quindi ecco che “Arcipelago
Chieti” io posso dire di averlo visto nascere pagina per pagina.
Guarda, era strano vederlo raccontare a tratti divertito e a tratti sconsolato, non saprei proprio come descrivertelo.
Una nuova edizione di questo libro?
Certamente,
ci ho pensato. Solo che davvero sono moltissime le cose da fare e non
riesco a star dietro a tutto. Ad oggi, per esempio, ho molte richieste
per ristampare gli album in vinile e quindi sto valutando le varie
soluzioni. Tra l’altro capisci bene che oggi il denaro è un problema
importante per i dischi, figuriamoci per i libri. Scusa il discorso
meramente materiale ma, ahimè, è la chiave di tutto. Se pensi che un
tempo il Disco D’Oro te lo davano con milioni di copie vendute e oggi
viene consegnato con 6-7 MILA copie. Figuriamoci le vendite dei libri…
Tra
le righe di questo libro spesso ho trovato punti che portavano Ivan
fuori dal normale contesto. Non so se sia giusto parlare di avanguardia
come ho fatto, però…
Guarda,
questo è un punto a cui tengo tantissimo. E questo non solo per quanto
riguarda il libro ma anche per la musica. Pensa a brani come “Luisa”,
temi che oggi sono di attualità come la violenza sulla donna, temi
piccanti e temi poco “popolari”. Parliamo di quegli anni quando, in
genere, gli altri parlavano d’amore e lui già stava affrontando temi di
denuncia assai impegnativi, cose che oggi per esempio sono la
consuetudine nelle canzoni d’autore e non solo. Alla faccia di chi ci
dice che non era politicizzato: forse lo era molto più di tanti altri.
Dopo aver letto questo libro ti chiedo: ma secondo te è stato mai compreso a pieno Ivan?
Guarda
sinceramente non penso o comunque in generale penso che al tempo non si
era poi tanto predisposti alla comprensione, ad andare oltre. Oggi
rivalutiamo tante cose di ieri e percepiamo delle sfumature che in quel
tempo neanche ci interessavano. Si parlava del libro certamente, come
della musica, ma era un parlare di ufficio, di superficie. Credo che un
artista come Ivan abbia molto subito questa chiusura perché tutta la sua
ricchezza era nascosta spesso tra le righe e bisognava fare un’analisi
profonda come la tua per capirlo e magari apprezzarlo. Forse è per
questo che allora non è stato così ampiamente celebrato come accade
oggi.