lunedì 30 marzo 2020

La spiaggia

Ogni volta che lo trasmettono lo rivedo:
Fonte: FilmTv

giovedì 26 marzo 2020

Auguri Mina!

Mina fu la prima artista in Italia a indossare la minigonna in spettacoli televisivi e nei concerti, qui durante il programma televisivo Doppia coppia (1970)

Mina, stella irraggiungibile del firmamento musicale fa 80. E noi la ricordiamo con un “esercizio di ammirazione” firmato da Anna Valerio.
 Se fosse nata a maggio, sarebbe ancora a far ballare le rughe in televisione come tanti. O a giugno, a luglio, agosto, settembre… Invece è nata all’inizio della primavera e noi arieti siamo così. A un certo punto ci sale una fiamma da dentro e una voglia insopprimibile di mandare in malora tutto e tutti. Perfino il meraviglioso Benedetto XVI: un giorno ha fatto il gran rifiuto. Lui a 86 anni, Mina a 38, ma la sostanza non cambia. Tenco, un altro della banda, si è sparato un colpo. De Gregori non fa che distruggere il sé che era concerto dopo concerto, che quando attacca “Alice” neanche la riconosci. È un dèmone. È bisogno di liberarsi. È voglia di respirare. È un fuoco che abbiamo in cuore, il nostro destino. Incoerenti? Magari sì. Ma vivi fino alla morte, che non è proprio un’ovvietà. Tengano altri le posizioni. Noi siamo fatti per il blitz. Non abbiamo paura di niente, perché la paura non sa correre al nostro ritmo. Ci disgustano i compromessi, gli arruffianamenti, la tattica dei piccoli passi. Il nemico peggiore è l’apatia. Dentro di noi urla questa ribellione, questa rabbia. Ascoltatela, la Mina dei cosiddetti tempi d’oro (ma è tutta d’oro la vita delle persone coraggiose e libere e appassionate). Non è la brava ragazza che passerà lo straccio sulla vita fiacca di un uomo a ogni costo, la classica signorina da marito. La sua è una voce selvaggia. Perfino sguaiata in certe espressioni. Potente. Calda. Nuova. Capace di stravaganze, di ironie. Ma… “quando sei qui con me”, tu, ignaro fortunato, non te lo scordi più quell’abbraccio che ti stringe come mille abbracci.
 Chissà se lo capiscono i troppi che si accontentano, che si affezionano alle proprie disgrazie, i morbosi, i timorosi, i furbastri cinici, i fiacchi, quelli che fanno solo giochetti puerili, gli indifferenti che s’incancreniscono nelle proprie abitudini e non mettono la testa fuori dalla confort zone. È primavera, caspita… Tanti auguri, Mina (vagante), voce che scuoti tutti – da lontano!

martedì 24 marzo 2020

Addio a Uderzo

Il mondo dei fumetti è a lutto. Se n’è andato nel sonno Alberto Uderzo, papà dei celeberrimi Asterix e Obelix, i campioni del villaggio dell’Armorica che sfidava Roma e vinceva regolarmente contro centurioni, soldati e Cesari. Uderzo, di chiare origini italiane, aveva 92 anni. A ucciderlo sarebbe stato un infarto che lo avrebbe colto durante il sonno. Insieme a René Goscinny creò le strisce umoristiche di Asterix e Obelix e proseguì il lavoro portando il fumetto a “uscire” dalla carta. I due personaggi divennero celebri al cinema, con i lungometraggi animati oppure interpretati da attori in carne e ossa, come Depardieu e Clavier che interpretarono il film “Asterix e Obelix contro Cesare” del 1999, che registrò anche la presenza di Benigni e della stupenda Laetitia Casta. https://www.barbadillo.it/88954-fumetti-addio-ad-albert-uderzo-papa-di-asterix-e-obelix/

domenica 22 marzo 2020

Max von Sydow

Max von Sydow (1929-2020) Per quelli che avevano vent’anni nel 1960, Max von Sydow fu un mito e un’icona. Ancora oggi, quando penso al perfetto cavaliere crociato (quello che magari non è mai esistito) in tuti i sensi, dall’aspetto fisico allo spirito, penso a lui. Certo, sotto la lucidissima guida di Ingmar Bergman, von Sidow conferiva una voce crociata e cavalleresca all’esistenzialismo kierkegaardiano. Ma era anche un grande artista: e i grandi artisti riescono ad esprimere lucidamente e profondamente anche quello che non sanno e non capiscono (pur ammesso, e non so quanto concesso, che von Sidow certe cose non le sapesse né le sapesse). Il cavaliere Antonius Bock era un uomo dell’Eterno Medioevo, quello ch’è sinonimo della vita tesa tra due ignori, il Prima e il Dopo. Ironia della sorte, stimolante coincidenza, o prova che Dio talvolta ama giocare a dadi con noi, il cavaliere Block che torna nella sua fredda e lontana Europa scandinava all’indomani d’una crociata inutile vi trova la peste, e von Sydow ci lascia, certo non prematuramente, comunque in tempo di pandemia… un altro segno?
La locandina de “Il Settimo Sigillo” “Dio, tu che in qualche luogo esisti… Tu che devi certamente esistere, abbi misericordia di noi”. Come possiamo dimenticare la preghiera del cavaliere Antonius Block, tornato dalle crociate in Terra Santa in un Nord Europa martoriato da peste e disperazione e magistralmente interpretato da Max von Sydow nel capolavoro assoluto di Ingmar Bergman, Il settimo sigillo, anno domini 1957. L’attore svedese (naturalizzato francese), alla fine, la partita con la Morte l’ha perduta, com’è scritto nel libro del destino di tutti noi; ma l’ha giocata fino in fondo, su una scacchiera lunga 91 anni, togliendosi molte soddisfazioni a livello professionale. Scoperto proprio dal genio svedese – con lui ha recitato in ben 14 pellicole –, Max von Sydow appartiene ai quei volti indimenticabili che il cinema ci ha regalato, a quella cerchia di attori venuti su a copioni e gavetta in teatro, prima di essere notati. Professionisti che si sono guadagnati un posto al sole grazie al sudore del duro lavoro e della passione, non certo alla partecipazione a un reality o a un talent, oggi il primo gradino verso il successo – ma di una scala spesso priva di talento. Con due Oscar all’attivo – uno come attore protagonista in Pelle alla conquista del mondo del 1989, uno come attore non protagonista in Molto forte, incredibilmente vicino nel 2012 – un centinaio di film, diverse apparizioni televisive, von Sydow è entrato nell’immaginario comune anche per un altro capolavoro, ovvero L’esorcista, il film di William Friedkin del 1973, nel quale interpreta magistralmente il ruolo di padre Lankester Merrin alle prese con il demonio. Espressivo ed estremamente versatile, l’attore ha lavorato spesso anche in Italia: tra gli altri, con Francesco Rosi (Cadaveri eccellenti, da un romanzo di Sciascia, 1976), Valerio Zurlini (Il deserto dei tartari, dal capolavoro di Buzzati, 1976) e Alberto Lattuada (Cuore di cane, 1976). Molti i grandi maestri con i quali ha collaborato, da John Huston (Lettera al Kremlino, 1970 e Fuga per la vittoria, 1981, nel quale veste i panni del maggiore nazista Von Steiner), passando per Sydney Pollack (von Sydow interpreta il sicario Joubert ne I tre giorni del Condor, 1975, accanto a un superbo Robert Redford e a una meravigliosa, in tutti i sensi, Faye Dunaway), David Lynch (Dune, 1984), Woody Allen (è Frederick, lo scontroso artista misantropo che richiama J.D. Salinger, in Hannah e le sue sorelle, 1986), Wim Wenders (Fino alla fine del mondo, 1991), Steven Spielberg (Minority Report, 2002), Martin Scorsese (Shutter Island, 2010), Ridley Scott (Robin Hood, 2010). Il suo fiore all’occhiello rimarrà sempre il cavaliere Block accompagnato dal suo tormento, dalla spasmodica ricerca di Dio, dai dubbi laceranti che non trovano risposta se non nella fede che può sconfiggere la Morte e un’esistenza terrena che della morte ha terrore e dalla morte è ossessionata. I dubbi di Block riflettono i dubbi dell’uomo moderno, che la fede ormai l’ha abbandonata prediligendo una progressione verso il Nulla, che si riflette nello scudiero Jöns, materialista, individualista e nichilista, che invita a godere solo ed esclusivamente delle gioie del presente. La peste che imperversa rende Il settimo sigillo un film da ammirare all’infinito, attuale, simbolicamente straordinario nella sua limpida capacità di fotografare le vacue prospettive umane del presente. Max von Sydow ne è il protagonista assoluto. Anche e solo per questo, non potremo che volergli bene per sempre. https://www.barbadillo.it/88799-ritratti-cinema-max-von-sidow-indimenticabile-cavaliere-de-il-settimo-sigillo/

sabato 21 marzo 2020

Come un film

Ha ripreso le pubblicazioni il blog di Andrea Malaguti dagli USA, qui un estratto: Gli abbienti, però, sembrano pronti a tutto, pur di fuggire alla paura del Coronavirus. Appena annunciata la chiusura delle scuole private di Manhattan, le culle dell'alta borghesia newyorkese, agli Hamptons sono piovute le richieste d'affitto immediato di case e ville, senza badare a spese. Tra le richieste, c'è quella della piscina riscaldata: se fuori ci sono -3 gradi centigradi (28 Farenheit), l'acqua deve arrivare a 41 (88 Farenheit). Tra i ricchi c'è voglia di far festa, come all'epoca del Grande Gatsby, che però andò a finir male (e va detto che finì male anche il suo autore, Francis Scott Fitzgerald, che si sentiva un po' Gatsby anche lui); e se vanno a finir male loro? Pare però che i poveri locali abbiano una risorsa che ai predatori da fuori manca: la solidarietà degli altri. Fuori stagione, baristi e camerieri aiutano gli anziani come possono. E poi, cosa che il New York Post non dice, ma lo so io, sono più simpatici. Tanti anni fa, sono andato anch'io in vacanza a Montauk, cinque giorni ad agosto, e ricordo i camerieri e la gente del posto molto più simpatica e molto meno tronfia dei borghesoni che pensavano d'aver diritto a tutto. Le sperequazioni sono sempre dannose. http://americalbar.blogspot.com/2020/03/gli-scaffali-vuoti-agli-hamptons.html

venerdì 20 marzo 2020

Torniamo a Carosello!

In questa Jetz-zeit, consegnata all’angoscia del #restiamoacasa, mentre le reti televisive sono stabilmente occupate da rubriche giornalistiche, talk show e interviste monotematiche sulla situazione medico-sanitaria e sulla catastrofe economica prossima ventura, le “imprescindibili” interruzioni pubblicitarie ci appaiono, per la prima volta, avvolte da un’aura irritante che prelude, se non alla rivolta, almeno alla deplorazione. La consolidata, onnipotente intrusione delle strategie di marketing in ogni superstite anfratto lasciato al pensiero e alla riflessione pubblica dalla segregazione immunitaria che stiamo vivendo, sembra dismettere i connotati della “franca menzogna”, tipica del messaggio pubblicitario, per mostrare il volto protervo dell’avidità e della bassezza morale. Quasi che proprio questi momenti di eccezionale emergenza rendano possibile, per la prima volta, la percezione dello scarto tra la calcolata, ipocrita frivolezza degli spot pubblicitari – costellati di volti sorridenti, di atmosfere oniriche e rarefatte o di effimere voluttà consumistiche – e la reale incombenza delle nostre paure. Paure del tutto simili a quelle che, nella quotidiana emergenza dell’epoca attuale, inquietano e assillano la nuda vita degli oppressi, dei disoccupati, dei migranti, degli sfruttati. Questa strutturale dissonanza è oggi enfatizzata dall’imperturbabile ossequio con il quale i conduttori televisivi annunciano l’interruzione pubblicitaria – nel bel mezzo di un’intervista, di un dibattito o di un collegamento esterno – come un atto di improrogabile deferenza all’ubiqua divinità del mercato. Dissonanza che non può essere giustificata – come pure accade di sentire da qualche epigono dei grandi teorici italiani del mid-cult (da Omar Calabrese a Umberto Eco) – come un estremo tentativo di normalizzazione, inteso a rassicurare gli spettatori sulla tenuta del sistema, con un abusatissimo the show must go on. In questo contesto, il riaffiorare della nostalgia per la pubblicità televisiva d’antan, anche in generazioni di telespettatori che non hanno vissuto quella temperie culturale, potrebbe prestarsi al ruolo di segreta levatrice emozionale di istanze “sovversive”. Non sorprende, dunque, che la Sipra, la concessionaria di pubblicità Rai, in un sondaggio effettuato poco più di un anno fa, abbia registrato un risultato plebiscitario: quasi il 98% degli italiani tra i 26 e i 35 anni si augura il ritorno di Carosello; e si può scommettere che anche le fasce di età più mature, soprattutto in questa inattesa cesura storica che si presenta nelle vesti naturalistiche di una pandemia, siano percorse da una travolgente nostalgia “patriottica” che vede nel Carosello uno dei simboli dell’italianità. estratto da http://www.uncommons.it/philosofilm/la-quarantena-non-lava-pi-bianco-632

sabato 14 marzo 2020

Interrotta la stagione teatrale

Carissime spettatrici, carissimi spettatori, fedeli amiche e amici di questa nostra piccola programmazione... Quando, ormai più di 10 anni fa, uscimmo con questo manifesto non avremmo mai immaginato di vivere un tempo in cui, partendo dal teatro e da tutto il mondo culturale, non sarebbe più stato possibile ritrovarsi nelle abitudini quotidiane. Abbiamo tentato fino a qualche giorno fa di capire se sarebbe stato possibile riprende, a fine aprile o a maggio, i due spettacoli che avrebbero concluso questa stagione teatrale 2019-2020. Ma i tentativi sono stati purtroppo vani. Siamo certi di poter ospitare nuovamente nella programmazione 2020-2021 "Stasera ovulo" con Antonella Questa e "Aldo Morto" di Compagnia Frosini/Timpano. Appena potremo nuovamente ritrovarci provvederemo al ritiro e al RIMBORSO dei BIGLIETTI già acquistati per gli spettacoli. Gli ABBONATI che volessero ricevere il rimborso della quota relativa ai due mancati appuntamenti potranno compilare (entro lunedì 6 aprile) il modulo cliccando QUI Rimarremo sempre raggiungibili telefonicamente al numero 3498464714 e via mail a info@teatrocomunaleocchiobello.it SPERIAMO DI RIVEDERCI PRESTO A TEATRO!!!

lunedì 9 marzo 2020

Pupo De Luca

Pupo De Luca, pseudonimo di Giovanni De Luca (Milano, 6 aprile 1926 – Lanzarote, 14 dicembre 2006), è stato un attore e musicista italiano.
De Luca inizia a suonare la batteria influenzato dalla musica jazz, che durante il fascismo si ascolta ancora clandestinamente. Nel dopoguerra intraprende una regolare attività concertistica. In quel periodo suona con diverse orchestre, e conosce tra gli altri un giovane sassofonista, Fausto Papetti, con cui lavorerà in seguito. In breve tempo diventa uno dei più noti batteristi italiani, suona al fianco di nomi storici del jazz della penisola, come il chitarrista Franco Cerri, Enrico Intra, Gianni Basso e anche con musicisti stranieri come Chet Baker e Bud Shank. A metà degli anni cinquanta forma il complesso I Menestrelli del Jazz, insieme ad Ezio Leoni alla fisarmonica, Ernesto Villa al contrabbasso, Fausto Papetti al sassofono e Giampiero Boneschi (in seguito sostituito da Gianfranco Intra) al pianoforte. Il gruppo effettua molti spettacoli, e viene messo sotto contratto dalla Music di Walter Guertler, per cui incide alcuni dischi, sia 78 giri che album, anche con la denominazione tradotta in inglese The Minstrels Of Jazz. Nel 1957 conosce un giovane pianista appassionato di jazz che suona anche in un gruppo di rock'n'roll: è Enzo Jannacci, che lo avvicina al mondo del cabaret. Nel 1958 è il batterista del Sestetto Azzurro (con Alberto Semprini al pianoforte, Ebe Mautino all'arpa, Mario Migliardi all'organo Hammond, Walter Beduschi al basso e Bruno De Filippi alla chitarra), che suona sul disco di Nel blu dipinto di blu, accompagnando Domenico Modugno anche durante l'esibizione al Festival di Sanremo 1958. Nel 1959 il gruppo "I menestrelli del Jazz" cambia la sua formazione esibendosi al Palazzo dell'arte di Milano con il pianista cantante Max Onorari (in arte Marcellino), alla chitarra Felice Daccò, al basso Ernesto Villa, al vibrafono Alberto Baldan Bembo, al sax- clarinetto Glauco Masetti ed è con questa formazione, e poi cambiando il chitarrista con Ettore Cenci e il bassista con Marco Ratti, che il gruppo inizia a girare i migliori locali d'Italia, come "La canzone del mare" di Capri, "Le Cascine" di Napoli, "O' Sarracino" di Ischia, e ad avere successo anche alla "Fiera del Levante" di Bari o alle "Grotte del Piccione" di Roma. Tutti i componenti del gruppo "I menestrelli del Jazz" in quegli anni partecipano alle registrazioni in studio dei più importanti gruppi e cantanti italiani, sotto la direzione di maestri come Tony De Vita, Augusto Martelli, Ezio Leoni e molti altri. Dopo lo scioglimento del gruppo Glauco Masetti, Max Onorari, Marco Ratti ed il batterista Gian Piero Prina continuano l'attività esibendosi in numerosi concerti jazz. Nel decennio successivo De Luca, insieme a Enrico Intra, Franco Nebbia e a Gianni Buongiovanni, apre il Derby Club, locale milanese che diventa il centro del nuovo cabaret, lanciando personaggi come Cochi e Renato, Felice Andreasi, Lino Toffolo, e contribuendo all'affermazione definitiva dello stesso Jannacci. Nella seconda metà degli anni sessanta comincia anche a essere attivo come attore. Nel film di Carlo Lizzani Banditi a Milano del 1968, De Luca interpreta il proprietario della Fiat 1100 D usata dalla banda Cavallero per la rapina con sanguinoso inseguimento e sparatorie per le vie di Milano. Dal 1969 al 1971 interpreta il cuoco Fritz Brenner, dipendente dell'investigatore montenegrino Nero Wolfe, nella miniserie televisiva omonima prodotta dalla Rai. Nel 1976 dirige anche un film, L'inconveniente, rimasto inedito. da Wikipedia NOTA: Nella foto Pupo De Luca è il primo a sinistra

Luigi Cozzi

Dopo la incursione nell’incantato mondo dell’immaginario infantile de I Piccoli Maghi di Oz (2018), Luigi Cozzi torna ancora una volta al documentario, e lo fa alla sua maniera; ovvero, affiancando alla narrazione fattuale, una presenza grafica di grande impatto, proprio come aveva precedentemente sviluppato in Blood on Melies’ Moon (2016). Con La battaglia di Roma – 1849 (2019), prodotto dalla Cinemart s.r.l.s. di Gianna Menetti, il noto regista, nonché proprietario di quell’“angolo del fantastico” che è il negozio Profondo Rosso, situato nello storico e meraviglioso Rione romano di Prati, punta più in alto, facendo un flashback di oltre un centinaio di anni, per raccontare un capitolo cruciale della storia italiana. La nuova pellicola di Cozzi è una ricostruzione storica e puntuale della nascita e della fine della Repubblica Romana, istituita il 9 febbraio del 1949; libera e indipendente, fondata da Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi. Al centro di questo lavoro, pulsa quello spirito romantico che animò il Risorgimento, con i suoi “eroi plurimi”, dai rampolli di facoltose famiglie del Nord come Luciano Manara (1825 – 1849), che cadde in difesa di Roma, al popolano Angelo Brunetti detto “Ciceruacchio” (1800 – 1849), braccato dagli austriaci durante la sua fuga dalla Capitale, poi fucilato insieme al figlioletto. Tutte queste passioni, tra entusiasmo e dramma umano, sono ben comunicate dal film. Alla base della sceneggiatura c’è il libro: Un garibaldino a casa Giacometti. Roma 1849 – 1943 (2015) di Giovanni Adducci, che viene ampliato nella pellicola, grazie a numerosi interventi di esperti storici e personalità varie, nonché dello stesso Adducci. Il tutto è arricchito dalle musiche del Maestro Vince Tempera, il quale ha composto la colonna sonora per altri quattro film di Cozzi (Godzilla il re dei mostri, 1977, Il gatto nero, 1989, Paganini Horror, 1989, e I Piccoli Maghi di Oz). Questa Repubblica dalla visione universale, con la sua Costituzione così avanzata e rispettosa dell’individuo, venne governata da un Triumvirato composto da Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi. Vero, ebbe vita assai breve a seguito dell’intervento dell’esercito francese, ma segnò uno dei passaggi più alti del Risorgimento. Le sue leggi consentivano la libertà di culto, prevedevano la laicità dello Stato e la libertà di opinione. Inoltre, nel ripercorre minuziosamente gli eventi della battaglia tra i cittadini della Città Eterna e le truppe guidate dal feroce Generale Nicolas-Charles-Victor Oudinot (1791 – 1863), scopriamo che Casa Giacometti esiste ancora. Trattasi di un piccolo casale, di un colore giallo opaco, che si trova in via di San Pancrazio, sul colle del Gianicolo, nel quartiere di Monteverde. Oggi, è sede di un rinomato ristorante, ma in quei “giorni di fuoco” tra il giugno e il luglio del 1849, fu teatro di uno scontro all’ultimo sangue. Già, poiché le truppe francesi inviate per restaurare il regno di Pio IX trovarono nei difensori di Roma pane per i loro denti, e solo con l’inganno, come si stigmatizza nella pellicola, riuscirono ad avere la meglio. È stato un momento particolarissimo, e troppo spesso dimenticato, nella storia del nostro Paese. Fosse solo per questo, La battaglia di Roma – 1849 andrebbe proiettato nelle scuole, specialmente romane, quale utile strumento didattico. Di Luigi Cozzi si sa che è considerato un regista “culto” del fantastico. Infatti, egli non manca di conferire anche a questo suo ultimo film un tocco quasi onirico, e non poteva essere, conoscendolo bene, diversamente: documentario sì, ma a modo suo. Nondimeno, ciò avviene senza intaccare il rigore storico di una narrazione che affronta con sobria partecipazione un momento particolare della Storia Patria. Inoltre, quasi mutuando uno dei princìpi cardine del cinema USA, che vuole le prime inquadrature ad annunciare il tema centrale della storia, il regista apre il suo racconto con una immagine della Roma odierna, suggerendoci probabilmente come nella eterna anima della Capitale del Mondo, gli accadimenti di quel 1849 rivestano un posto di tutta rilevanza. Riteniamo che quelli di Cozzi possano essere definiti dei: “Documentari Grafici”, ove prevale l’aspetto visivo, sebbene con una diegesi molto chiara e lineare. Decisamente intrigante poi è il bel collage tra immagini storiche, sequenze filmate e disegni originali che punteggia tutto il film. Terminiamo, ricordando che la Costituzione della Repubblica Romana venne promulgata ufficialmente il 3 luglio 1849, alle ore 12:00. Fu un momento in cui Roma tornò a guardare la Umanità dall’alto in basso, essendo nuovamente latrice di una civiltà più evoluta. Durò poco, e forse è stato giusto così, il mondo non tollera a lungo le utopie. Come viene coraggiosamente ricordato nella pellicola, a infrangere tale sogno ci pensò lo scempio francese effettuato per ordine di Oudinot. Tra le sue tante vili cannonate, egli fece fare fuoco persino sulla Cupola di San Pietro. Nulla di nuovo sulla invidia transalpina nei nostri confronti e si sa che da un celato senso di inferiorità – pensiamo, ad esempio, a quello del Giappone verso la Cina – si genera talora la barbarie. https://www.barbadillo.it/88324-cinema-la-battaglia-di-roma-1849-di-luigi-cozzi-la-repubblica-di-mazzini-e-garibaldi/

martedì 3 marzo 2020

Il filosofo del quiz

Mike Bongiorno e Gianluigi Marianini a Lascia o raddoppia Linee parallele, più piani che si incastrano, alla fine, in un unico punto, trafiggendolo, caratteristica che si potrebbe agilmente attribuire allo stile del personaggio, per lungo tempo amante dei primi piani. Taglio a spazzola, barba curata, parlantina volutamente ricercata, ego a fatica tenuto a bada, atteggiamento naturalmente portato da un uomo fieramente dandy con inclinazioni mistiche come Gianluigi Marianini, maniacale ed attento al gusto estetico, trasformato, quasi con fare taumaturgico e postmoderno, da vizio in virtù. Uomo che poggia sul parallelismo e la contraddizione. Parallelo come la propria vita, densa di contraddizioni. Bruno Ventavoli, firma della Stampa, descrive Marianini in un agile libretto edito dalla collana Centenaria per le edizioni Gaffi, omonimo anche nel titolo, Marianini Gian Luigi, cognome-nome, al pari di un appello. Marianini non si pone il problema di diventare qualcuno, sa di avere le carte giuste da giocare per esserlo. Già intrattenitore di salotti buoni con componimenti poetici d’avanguardia, cresce intellettualmente con una straordinaria venerazione per la letteratura poi ostracizzata dai regimi culturali, considerata non conforme. D’Annunzio, Papini, Marinetti e il futurismo, non si sente e non si vuole sentire un contemporaneo, rifiuta il moderno, rifiuta la guerra, rifiuta il lavoro (non si conosce un’occupazione che lo impiegasse in maniera ben definita, pare che, prima dell’attività televisiva, esercitasse l’attività di conferenziere su materie più composite e disparate). Mike Bongiorno, in precedenza suo allievo negli anni del liceo, quando il nostro svolgeva l’attività di supplente, nota la sua spiccata presenza scenica e lo seleziona come concorrente per il primo telequiz della storia della televisione italiana, struttura che avrebbe non poco il sistema antropologico nostrano. Marianini accetta la sfida e si presenta come <>. La versatilità del nostro furoreggia incontrastata, radiografa la vita in ogni dettaglio, quasi fosse la cartina di tornasole di un sistema più complesso, dal cui caos nasce un fragile equilibrio. Diventare esperto è il modo di realizzare la vita nella sua massima espressione, ricercata. Marianini, l’espressione futurista realizzata, esoterista e cattolico, scrutatore della Torino Magica, flaneur romantico che ha incorporato varie essenze racchiuse e sospese dentro un’armatura dalle poliedriche misure. Un percorso in cui la televisione ha svolto da raccordo per lanciare l’intelletto oltre l’ostacolo dell’effimero.

lunedì 2 marzo 2020

Rinnovato il Capitol

Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato un nuovo decreto che dispone la chiusura, nelle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, di cinema e teatri fino a domenica 8 marzo. Riportiamo un estratto del testo del nuovo decreto: (art. 1, comma 2, lettera c): sospensione, sino all’8 marzo 2020, di tutte le manifestazioni organizzate, di carattere non ordinario, nonché degli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi ma aperti al pubblico, quali, a titolo d’esempio, grandi eventi, cinema, teatri, discoteche, cerimonie religiose; Per questo motivo, ottemperando pienamente a quanto previsto dal decreto e dalle relative ordinanze locali che lo recepiscono, il Cinema Capitol sarà chiuso fino a domenica 8 marzo compresa, in attesa di nuove disposizioni. Nel frattempo, approfittiamo di questa pausa forzata per terminare i lavori di ristrutturazione delle nostre sale, così quando cesserà l'emergenza Coronavirus il Cinema Capitol vi potrà accogliere completamente rinnovato!!!