venerdì 20 marzo 2020

Torniamo a Carosello!

In questa Jetz-zeit, consegnata all’angoscia del #restiamoacasa, mentre le reti televisive sono stabilmente occupate da rubriche giornalistiche, talk show e interviste monotematiche sulla situazione medico-sanitaria e sulla catastrofe economica prossima ventura, le “imprescindibili” interruzioni pubblicitarie ci appaiono, per la prima volta, avvolte da un’aura irritante che prelude, se non alla rivolta, almeno alla deplorazione. La consolidata, onnipotente intrusione delle strategie di marketing in ogni superstite anfratto lasciato al pensiero e alla riflessione pubblica dalla segregazione immunitaria che stiamo vivendo, sembra dismettere i connotati della “franca menzogna”, tipica del messaggio pubblicitario, per mostrare il volto protervo dell’avidità e della bassezza morale. Quasi che proprio questi momenti di eccezionale emergenza rendano possibile, per la prima volta, la percezione dello scarto tra la calcolata, ipocrita frivolezza degli spot pubblicitari – costellati di volti sorridenti, di atmosfere oniriche e rarefatte o di effimere voluttà consumistiche – e la reale incombenza delle nostre paure. Paure del tutto simili a quelle che, nella quotidiana emergenza dell’epoca attuale, inquietano e assillano la nuda vita degli oppressi, dei disoccupati, dei migranti, degli sfruttati. Questa strutturale dissonanza è oggi enfatizzata dall’imperturbabile ossequio con il quale i conduttori televisivi annunciano l’interruzione pubblicitaria – nel bel mezzo di un’intervista, di un dibattito o di un collegamento esterno – come un atto di improrogabile deferenza all’ubiqua divinità del mercato. Dissonanza che non può essere giustificata – come pure accade di sentire da qualche epigono dei grandi teorici italiani del mid-cult (da Omar Calabrese a Umberto Eco) – come un estremo tentativo di normalizzazione, inteso a rassicurare gli spettatori sulla tenuta del sistema, con un abusatissimo the show must go on. In questo contesto, il riaffiorare della nostalgia per la pubblicità televisiva d’antan, anche in generazioni di telespettatori che non hanno vissuto quella temperie culturale, potrebbe prestarsi al ruolo di segreta levatrice emozionale di istanze “sovversive”. Non sorprende, dunque, che la Sipra, la concessionaria di pubblicità Rai, in un sondaggio effettuato poco più di un anno fa, abbia registrato un risultato plebiscitario: quasi il 98% degli italiani tra i 26 e i 35 anni si augura il ritorno di Carosello; e si può scommettere che anche le fasce di età più mature, soprattutto in questa inattesa cesura storica che si presenta nelle vesti naturalistiche di una pandemia, siano percorse da una travolgente nostalgia “patriottica” che vede nel Carosello uno dei simboli dell’italianità. estratto da http://www.uncommons.it/philosofilm/la-quarantena-non-lava-pi-bianco-632

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