lunedì 22 agosto 2022

Arcipelago Chieti

 

Mi sento fortunato ad averlo. Mi sento riposato ora che ho percorso tanti decervellamenti vari per capire dove potesse trovarsi. Che poi alla fine è bastato spulciare tra i crediti e fare una telefonata. Una soltanto. E ad oggi a casa mia c’è una copia di “Arcipelago Chieti”, prima stampa del 1988, pubblicato da Edizioni Tracce di Pescara. L’autore è un certo Ivan Graziani, quello degli occhiali rossi, quello della chitarra rock da cantautore fuori dagli schemi, quello di “Monna Lisa” tanto per capirci. Ivan Graziani che abbiamo tanto amato e che ci ha lasciato troppo presto, quello che oggi torna di moda e fa un rumore mediatico che in vita forse non ha mai fatto (accade sempre così, viva l’Italia e gli italiani di tutte le età). Questo insegna ancora come i discorsi di oggi per lo sport alle lamentele nazionali, sono triti e ritriti ormai da generazioni. Lo insegnava Pasolini ma forse lo insegnava anche Dante. Ma andiamo avanti.

Sorprende, ma in realtà non è una novità, scoprire un Ivan Graziani maestro anche del pennarello e delle incisioni d’arte: numerose mostre sono state portate in lungo e in largo per l’Italia - non ultima quella curata dall’amico e artista Francesco Colafella, proprio qui a Chieti, intitolata per l’appunto “Arcipelago Chieti”. E, manco a dirlo, il disegno di copertina di questo libro è opera sua, di Ivan, dal titolo “Uomini in volo”, un’incisione all’acquaforte realizzata proprio a Pescara, allo Studio Calcografico Urbino. Perché tutto questo accadeva a due passi da casa mia, scrittura, incisione, confezione, pubblicazione. E per noi anche due passi, a volte, sembrano montagne invalicabili. Sembrano deserti di pietra. Quindi ho spento i social, la televisione e tutte le chat e sono uscito a fare due passi.

 

Novembre - Dicembre 1971.

Fante Graziani, in servizio al 40º reggimento fanteria della caserma Mameli di Bologna provvisoriamente ricoverato all'ospedale di Chieti [ex, dovremmo dire oggi] per presunta ulcera duodenale bulbare e titolato all'Accademia delle belle arti di Urbino con la qualifica di Maestro d’arte in pittura”

Quello che resta di quel “suo” tempo, almeno per noi, è un diario di bordo, una sequela di fotografie romanzate di quella vita da caserma e da ospedale militare, consumata nel rigore della disciplina e nella scomoda estetica di una divisa: Arcipelago Chieti è il rifiuto di Ivan Graziani verso la vita militare, un rifiuto che si dimostra sfacciato e totale e si fa anche ironico e pungente al tempo stesso. Ci affascina con un pizzico di cinismo e due pugni di fantasia… ah quella fantasia, caro Ivan, quella che per forza hai dovuto sfogare giorno dopo giorno, come potevi, inventando giochi e personaggi e favole surreali. E allora sotto a scriverci su. La vita di caserma per un artista è una condanna di morte spirituale: di fronte c’è solo il grigio strutturato senza apparente logica di una vita fatta e cadenzata dalle normative, dai gradi, da tutte le classi e le classificazioni, dai rigori e dalle maledette gerarchie. Tutto questo è riassunto proprio in una divisa. Il significato che ne deriva tra le righe mi arriva forte in faccia come uno sputo che fa montare la rabbia e la rivoluzione: la divisa è il mostro che fa diventare tutti uguali, depositati in compartimenti stagni e pronti per il “macello”. E cade a fagiolo la meravigliosa “Favola di Natale”, un fuori pista dalla stessa narrazione: eccovi una parentesi di psichedelia pura che Wallace avrebbe ficcato ovunque ci fosse stato spazio tra un capitolo e l’altro. Eccovi quel certo ingrediente che spezza la storia e che probabilmente ai superficiali di bocca veloce passa inosservato o al più come un bel sogno regalato al lettore. Eccovi invece il motivo che dà un senso a tutto questo piccolo libro. In questo capitolo l’uomo è in batteria come i polli mentre sono proprio i pennuti i veri macellai. Le parti si sono invertite.

La narrazione dicevamo: forse sono io a volerci vedere troppo oltre le righe del testo ma ho la sensazione che sia assolutamente un’avanguardia, per quel 1971, il suo modo strafottente di usare la metafora della vita militare per condannare la stupidità di un certo potere politico che ancora oggi dà voce all’attualità di tutti. Ivan lo racconta e lo subisce e un poco recita anche la parte.

E riprendiamo il concetto di divisa: provate a immaginare quanta dolorosa solitudine possa restituire l’uniforme militare che rende tutti uguali ad un uomo che ha la sensibilità artistica per celebrare gli altri uomini proprio osservandone e catturandone le loro infinite diversità. Un dramma.

Arcipelago Chieti è quindi un coacervo di fotografie dal sapore agrodolce: questo dramma diviene l’assurdo teatrale di certi personaggi che un poco ci fanno sorridere e un poco si mescolano al grigio torpore dei cattivi pensieri, lo stesso grigiore che arriva da dietro le finestre dove ci racconta di una città avvolta nella solitudine e nel silenzio, di un bigottismo della classe piccolo borghese e di una nebbia, quella maledetta nebbia che nasconde i viali e la faccia delle persone, ne confonde i tratti e rende tutto di nuovo maledettamente uguale… proprio come fanno i superiori dell’ospedale militare. Però alla pagina dopo l’assurdo teatrale torna esilarante ed è capace anche di tirarti via una risata di gusto questo Ivan Graziani.

Ho raggiunto Anna Graziani, la moglie. Le ho rubato qualche minuto e qualche parola che potesse lavarmi via di dosso la curiosità. Capisco ancora meglio come Arcipelago Chieti sia stata la salvezza per Ivan, come un libro si sia tramutato in quel filo che ancora poteva tenerlo legato alla realtà delle cose, alla sua dimensione del vero e del bello, quella in cui si muove vigile, geloso di sé e della sua ricchezza capace di conoscere e riconoscere, di pensare e di manifestare. Arcipelago Chieti è uno dei tanti segreti che aveva nel cuore e che lo hanno reso quell’Ivan Graziani li, quello degli occhiali rossi, quello della chitarra rock da cantautore fuori dagli schemi, quello di “Monna Lisa” tanto per capirci.

 

1971… che ricordi hai?

Sono passati? Oltre 40 anni… caspita!!!

Andavo a trovarlo a Bologna dove faceva il militare. Per me era più semplice raggiungerlo visto che mia sorella faceva l’università lì. Mi ricordo che si usciva e si andava a spasso per la città e lui era terribilmente affamato. Davvero!!! Ci si fermava sempre ad una salumeria all’epoca famosa, di un certo Tamburini… una salumeria enorme e ovviamente i due diventarono amici. Beh certo, non è che facesse la fame dentro la caserma ma insomma, vuoi mettere la salumeria contro la brodaglia della mensa? E poi andò a Chieti, all’ospedale militare e lì ci fu proprio la “disperazione” per lui, la visse proprio male. Ma da una parte era anche divertente. Ricordo quando diceva che aveva imparato a fare le punture. Eh caspita, aveva davvero imparato a farle. È capitato che le facesse anche a me e posso testimoniare che almeno in questo è servito. Poi ti dico anche questa: Ivan aveva uno zio al tempo Colonnello ma poi divenuto Generale dell’esercito. E quando ebbe la chiamata al servizio di leva gli parlò sperando di poter godere di alcuni privilegi… e invece lo zio si rifiutò, militare in tutto e per tutto, rigido: no, tu fai il militare come lo fanno tutti. Quindi anche sotto questo punto di vista non ebbe neanche una comodità e che dirti: la disperazione era totale quando è partito.

 

Ennesima testimonianza di come Ivan non era affatto soltanto un cantautore. Che la musica fosse solo un corredo pubblico ad un’espressione più ampia ma come dire “personale”?

Vedi Paolo, erano tre binari che andavano paralleli. Musica, scrittura e disegno. Stava scrivendo anche nuove cose ma purtroppo non ha fatto in tempo. Delle volte si svegliava in piena notte e andava in salone, si sedeva davanti al foglio bianco e mi diceva - “Tu non hai idea, affrontare un foglio bianco con un magic marker mi procura la stessa emozione di quando trovo una soluzione per quello che sto scrivendo o magari di quando scopro la magia di due accordi nuovi per quella canzone.” Ivan era tutto questo assieme.

 

Salvarsi. Questo ha significato Arcipelago Chieti?

Salvarsi, certo. Salvarsi proprio dall’incongruenza, dall’incoerenza. Lui mi diceva spesso: non è possibile che queste persone ragionino in questo modo. Era completamente vittima di un sistema di relazioni ma soprattutto di regole fuori dalla sua “normalità”… per non parlare dei personaggi che eri costretto a subire ogni giorno, dalla compagnia agli ordini, perché il servizio di leva non era volontario, anzi.

 

Noi questo libro lo inseguiamo oggi, lo compravamo allora. Ma tu come lo hai incontrato?

Ma guarda, devo dirti che a questo romanzo io ci sono arrivata davvero per gradi perché nel sentirci quasi quotidiano lui spesso mi parlava di quel che stava scrivendo, mi leggeva quel che aveva già scritto. Vedi, lui mi teneva sempre aggiornata, mi faceva partecipe di ogni step, di ogni sviluppo e non solo nella scrittura. Quindi ecco che “Arcipelago Chieti” io posso dire di averlo visto nascere pagina per pagina.

Guarda, era strano vederlo raccontare a tratti divertito e a tratti sconsolato, non saprei proprio come descrivertelo.

 

Una nuova edizione di questo libro?

Certamente, ci ho pensato. Solo che davvero sono moltissime le cose da fare e non riesco a star dietro a tutto. Ad oggi, per esempio, ho molte richieste per ristampare gli album in vinile e quindi sto valutando le varie soluzioni. Tra l’altro capisci bene che oggi il denaro è un problema importante per i dischi, figuriamoci per i libri. Scusa il discorso meramente materiale ma, ahimè, è la chiave di tutto. Se pensi che un tempo il Disco D’Oro te lo davano con milioni di copie vendute e oggi viene consegnato con 6-7 MILA copie. Figuriamoci le vendite dei libri…

 

Tra le righe di questo libro spesso ho trovato punti che portavano Ivan fuori dal normale contesto. Non so se sia giusto parlare di avanguardia come ho fatto, però…

Guarda, questo è un punto a cui tengo tantissimo. E questo non solo per quanto riguarda il libro ma anche per la musica. Pensa a brani come “Luisa”, temi che oggi sono di attualità come la violenza sulla donna, temi piccanti e temi poco “popolari”. Parliamo di quegli anni quando, in genere, gli altri parlavano d’amore e lui già stava affrontando temi di denuncia assai impegnativi, cose che oggi per esempio sono la consuetudine nelle canzoni d’autore e non solo. Alla faccia di chi ci dice che non era politicizzato: forse lo era molto più di tanti altri.

 

Dopo aver letto questo libro ti chiedo: ma secondo te è stato mai compreso a pieno Ivan?

Guarda sinceramente non penso o comunque in generale penso che al tempo non si era poi tanto predisposti alla comprensione, ad andare oltre. Oggi rivalutiamo tante cose di ieri e percepiamo delle sfumature che in quel tempo neanche ci interessavano. Si parlava del libro certamente, come della musica, ma era un parlare di ufficio, di superficie. Credo che un artista come Ivan abbia molto subito questa chiusura perché tutta la sua ricchezza era nascosta spesso tra le righe e bisognava fare un’analisi profonda come la tua per capirlo e magari apprezzarlo. Forse è per questo che allora non è stato così ampiamente celebrato come accade oggi.


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