Mi fa pena il giardino è l’opera di due artisti di Tbilisi, Mariam Natroshvili e Detu Jincharadze,
sul presagio della fine che introduce il visitatore nel realismo magico
dell’antropocene mediante un’installazione video e un’esperienza VR.
Per gli artisti nati qualche anno prima
della disintegrazione dell’URSS, la sensazione della fine è parte
intrinseca della memoria e della quotidianità. L’instabilità del Sud
globale genera una permanente ma variegata attesa della fine: una fine
che non implica necessariamente la scomparsa ma presuppone piuttosto
l’inizio di qualcosa di diverso, anche se spesso la drammaturgia degli
eventi assomiglia a quella di una realtà distopica o di una fiaba
dell’orrore. Un giardino metaforico vuoto che si secca, s’infuoca e
muore.
Mi fa pena il giardino fa immergere lo spettatore in un ambiente ipnotizzante, costruito
da forme mitopoietiche della narrazione artistica. È un’osservazione
sui segni della fine: l’orizzonte è infuocato, la città è svuotata, un
cane abbaia incatenato al muro delle parole, un ufficio si sfascia, gli
scaffali di un supermercato sono invasi dagli insetti. L’ambiente
svuotato sembra un videogame abbandonato, privo di presenza umana. Si
vedono solo le orme lasciate da esseri umani, gli errori irrimediabili,
le ferite della Terra. La scena centrale dell’esperienza VR è il
giardino dei fantasmi, un giardino virtuale che raccoglie le piante
estinte a seguito dell’intervento umano. Questa crisi ecologica nella
vita reale, rappresentata tramite l’esperienza VR, è un altro segno
della fine.
Mi fa pena il giardino è
un’opera poetica che restituisce un ambiente traumatizzato, avulso
dalla realtà oggettiva. Gli spettatori sono invitati a muoversi tra le
sequenze visive interattive e autogenerate di un puzzle non lineare,
costituito da luoghi reali e ambienti frammentati, i quali illuminano
l’universo scosso dall’operato umano. È un’opera che ci parla, con una
nuova lingua surreale, dell’epoca tecnologica, di una fine e di un
inizio.
Mariam Natroshvili e Detu Jincharadze sono
due artisti che vivono a Tbilisi e lavorano insieme dal 2011. La loro
pratica include progetti visivi, multimediali, interdisciplinari e
curatoriali e usano strumenti come il linguaggio, le parole, i testi, VR
e CGI per focalizzarsi su temi come la scomparsa e l’oblio. Si
interrogano sul concetto di memoria personale e collettiva trasformata
da eventi socio-politici di rilievo. Hanno partecipato a numerose
importanti esposizioni nazionali e internazionali, fra cui “Houston, we
have a problem” nell’ambito dell’Artisterium VII, “Buildings are not
enough”, la Biennale dell’Architettura di Tbilisi, l’IDFA doclab, ed
altri progetti www.sadarismelia.com.
Il titolo del progetto pensato per
rappresentare il Padiglione Nazionale della Georgia alla 59. Esposizione
Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia ripropone i famosi versi
della poetessa iraniana Forugh Farrokhzad (1934-1967) sul “giardino
morente” che descrive, dalla spiccata prospettiva eco-femminista
dell’autrice, il rapporto emotivo di una donna con il mondo
circostante.
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