Rahim Soltani ha contratto un debito che non può onorare. Per questa ragione sconta da tre anni la pena in carcere. Separato dalla moglie, che gli ha lasciato la custodia del figlio, sogna un futuro con Farkhondeh, la nuova compagna che trova accidentalmente una borsa piena d'oro. Oro provvidenziale con cui 'rimborsare' il suo creditore. Rahim pensa di venderlo ma poi decide di restituirlo con un annuncio. La legittima proprietaria si presenta, l'oro è reso e il detenuto promosso al rango di eroe virtuoso dall'amministrazione penitenziaria che decide di cavalcare la notizia, mettendo a tacere i recenti casi di suicidio in cella. Rahim diventa improvvisamente oggetto dell'attenzione dei media e del pubblico. Ma l'occasione di riabilitare il suo nome, estinguere il debito e avere una riduzione della pena, diventa al contrario il debutto di una reazione a catena dove ogni tentativo di Rahim di provare la sua buona fede gli si ritorcerà contro.
Dopo due esperienze internazionali poco convincenti (Il passato e Tutti lo sanno), Asghar Farhadi torna nel suo paese e dimostra con A Hero di sapere infilare come nessuno le derive della società iraniana, logorata dalla burocrazia, la diffidenza, la manipolazione.
Attraverso il destino di Rahim e
della sua impossibile redenzione, Farhadi avvia un'implacabile
meccanica che concentra tutti i difetti di un regime che ha eretto il
perdono e la redenzione a virtù pubbliche e mediatiche. Come in tutti i
suoi film, il protagonista è alle prese con un dilemma etico e come ogni
volta il regista pratica un pessimismo morale che condanna i suoi
personaggi ancora prima che i titoli comincino. Rahim Soltani non fa
eccezione e si dibatte inutilmente. La sua parabola finisce dove tutto è
cominciato, nella prigione da cui esce 'in licenza' disegnando la
geometria sociale di un Iran ossessionato dall'integrità di facciata e
esasperato da incessanti negoziazioni, amplificate dall'intervento a
gamba tesa dei social network.
Eroe per un giorno e povero diavolo per sempre, il protagonista vaga per
le strade della sua città in cerca di riscatto, stringendo al petto un
'certificato di merito' assegnato dalla stessa comunità che adesso è
pronta a sbranarlo perché nell'ansia di fare bene, Rahim ha fatto tutto
male. Tutte le menzogne e le mezze-verità finiranno per screditarlo,
soprattutto agli occhi sempre umidi del suo bambino, eco del Bruno Ricci
desichiano (Ladri di biciclette).
Mai così inflessibile, Farhadi non risparmia nessuno, debitori e
creditori, prigionieri e carcerieri, diavoli e santi, sorprendendo lo
spettatore con colpi di scena che non forzano mai la logica narrativa. E
quella logica è decisamente perturbante. Proviamo un'empatia profonda
per il personaggio principale, sempre sorridente e confidente nel
tentativo di uscire da una situazione assurda. Ma più prova ad evadere
da quella prigione a cielo aperto e più si chiude dentro, inquadrato
dietro ai vetri, urtato dalla cattiva fede dei suoi interlocutori,
impegnati ad abusarne o a prenderne le distanze in nome di un paese
perfetto, di cui il sistema mediatico si fa eco mostruoso.
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Al cinema San Benedetto di Ferrara per la Befana
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