Tra il 1969 e il 1970 il regista inglese John Boorman
propose un adattamento della trilogia IL Signore degli Anelli di J.R.R.
Tolkien alla United Artists, che ne deteneva i diritti. Il trattamento
di Boorman prevedeva modifiche sostanziali al testo originale; per
questo motivo e per altri motivi la United Artists preferì rinunciare al
progetto, per avallare qualche anno dopo quello dell’animatore Ralph
Bakshi, molto più fedele alla trilogia di Tolkien. Diversi elementi di
quell’adattamento confluirono nel suo film successivo, Zardoz, l’unico
film di sf del regista britannico. Boorman e il suo co-sceneggiatore
Bill Stairs scrissero anche la novelisation del film, ovvero
l’adattamento della sceneggiatura in forma di romanzo. Solitamente le
novelisations sono le riproposte pedisseque delel vicende del film, più o
meno creativamente rielaborate a seconda della personalità
dell’estensore, ma di solito si tratta di una specie di gadget
pubblicitario per il film. In questo caso, essendo scritto dagli autori
del film, risponde anche a esigenze espressive e artistiche, come scrive
Boorman nella prefazione:
“Scrissi Zardoz a casa mia nel 1972 (…) Ne uscì
una sceneggiatura più simile alla forma di un romanzo. Gradualmente la
rielaborai in una forma cinematografica che si rivelò troppo audace per
la maggior parte degli studios. Alla fine trovai i finanziamenti e girai
il film (…) Mentre montavo il film decisi di riportarlo alla forma di
un romanzo. Esso segue fedelmente il film, ma si appoggia molto alla
stesura iniziale.”
Zardoz
è ambientato in un mondo futuro in cui l’umanità è divisa in due
categorie, gli Sterminatori e i Bruti; i primi scatenano periodiche
battute di caccia contro i Bruti, uccidendo i maschi e, all’occasione,
imprigionando e violentando le femmine. Gli Sterminatori ricevono ordini
dal dio Zardoz, che si esprime attraverso una gigantesca testa in
pietra che arriva volando sulle lande degli Sterminatori, e dalla quale
escono la voce di Zardoz e le armi da fuoco che servono alla caccia. Zed
è un capo degli Sterminatori per diritto di nascita, essendo figlio di
un capo Sterminatore, ma è preso dai dubbi. Perché Zardoz ha cambiato
ordini? Perché ora i suoi uomini non devono più uccidere i Bruti ma
catturarli e schiavizzarli come contadini? Zed decide di entrare di
nascosto nella testa di Zardoz, e così vola fino al Vortex, dove vivono
gli Eterni, un élite che gode dell’immortalità e di un aspetto sempre
giovanile, separata dal mondo da un campo di forza invisibile. Il Vortex
è guidato e protetto dal Tabernacolo, un’entità artificiale che serve
da legislatore, coordinatore e mezzo di comunicazione fra gli Eterni, e
che gestisce i loro processi vitali, mantenendoli di fatto immortali.
Chi muore per incidente od omicidio viene subito clonato, mentre i
criminali sono puniti con l’invecchiamento: ciò che capita ai Rinnegati,
coloro condannati alla perpetua vecchiaia. Zed diventa oggetto della
rivalità di tre Eterne, Consuella, May e la più giovane Avalow, ma anche
strumento di fazioni in lotta rappresentate dalle tre donne, mentre lo
Sterminatore rivela poco a poco le vere ragioni del suo viaggio come
pure la reale natura di Zardoz…
Dal punto di vista narrativo, Boorman segue il film,
come scrive lui stesso, ma aggiunge varie spiegazioni ai punti insoluti
del film.
Così nel prologo c’è una specie di biografia di Zed,
in cui vengono narrate anche la sua infanzia e la sua formazione; da una
voce nella testa di Zardoz (detta anche la Caverna) apprendiamo che
siamo nel 2293; nel corso del romanzo abbiamo cenni anche sul passato di
Consuello e May, utili a caratterizzarle; verso la fine scopriamo ciò
che ha distrutto la civiltà umana, e vengono svelati l’origine e lo
scopo originale del Tabernacolo e del Vortex, e come ci sono finiti gli
Eterni.
Dal punto di vista letterario Boorman e Stair usano uno stile immaginifico che cattura il lettore in una trama (in un vortice…) di costruzioni visive ingegnose, dalle descrizioni ricche di particolari, ma mai didascaliche, calate in un’atmosfera onirica di ricca suggestione. Si potrebbe dire lo stesso del film, ma i due autori riescono a reinventarne con le parole la visionarietà scenografica e fotografica, dimostrando una notevole capacità linguistica e stilistica. Nel tratteggio dei personaggi Boorman e Stair elaborano delle figure che sono allo stesso tempo archetipali eppure vitalissime e credibili, e hanno l’abilità di svelarne complessità, sfaccettature e motivazioni man mano che la narrazione si sviluppa. Lo si vede in Zed, che si rivela sempre meno come un brutale assassino e sempre più come un uomo assetato di verità e di sapere; o in Frayn, che snoda poco a poco le sue trame di sottile manipolatore, il mago Merlino della vicenda, secondo una definizione di Boorman.
Dal punto di vista letterario Boorman e Stair usano uno stile immaginifico che cattura il lettore in una trama (in un vortice…) di costruzioni visive ingegnose, dalle descrizioni ricche di particolari, ma mai didascaliche, calate in un’atmosfera onirica di ricca suggestione. Si potrebbe dire lo stesso del film, ma i due autori riescono a reinventarne con le parole la visionarietà scenografica e fotografica, dimostrando una notevole capacità linguistica e stilistica. Nel tratteggio dei personaggi Boorman e Stair elaborano delle figure che sono allo stesso tempo archetipali eppure vitalissime e credibili, e hanno l’abilità di svelarne complessità, sfaccettature e motivazioni man mano che la narrazione si sviluppa. Lo si vede in Zed, che si rivela sempre meno come un brutale assassino e sempre più come un uomo assetato di verità e di sapere; o in Frayn, che snoda poco a poco le sue trame di sottile manipolatore, il mago Merlino della vicenda, secondo una definizione di Boorman.
Ma colpiscono più di tutti le tre figure femminili
principali: May, Consuella e Avalow. Boorman le concepisce come
archetipi, rispettivamente della Madre, della Moglie e della Figlia, ma
va ben aldilà degli stereotipi o delle fantasie maschili, e le
caratterizza con grande sottigliezza psicologica e attenzione a gesti,
dialoghi, sfumature, sbalzando tre caratteri forti ma ben diversi fra
loro. Alla loro rivalità, e in generale alla loro interazione, gli
autori danno motivazioni ben più complesse e profonde della semplice
conquista di un uomo – o meglio del suo controllo e utilizzo – che pure
non è un semplice pretesto. Raramente avevo letto un romanzo di autori
maschili in cui il disegno e l’interazione di personaggi femminili fosse
così complesso e approfondito (più e meglio che nel film, tra l’altro).
Il momento più riuscito del romanzo, secondo me, è il nono capitolo, intitolato “Exchange of powers”. May e le sue seguaci vogliono essere fecondate da Zed, che in cambio riceve tutta la loro conoscenza, e infine si accoppia ancora con Avalow, che gli consegna il cristallo che gli permetterà di conoscere i segreti del del Tabernacolo. Qui la prosa di Boorman e Stair unisce una strepitosa forza visionaria con un grande pathos drammatico, raccontando con grande coinvolgimento le emozioni di Zed di fronte alle due fasi del rito, prima l’estasi non solo erotica ma anche spirituale nata dall’unione con le donne di May, poi l’avidità con cui l’uomo assorbe le informazioni dal cristallo. È un vero momento epifanico, intessuto di una potente vena immaginifica, in cui Zed scopre quelle verità a cui aveva sempre anelato.
Il momento più riuscito del romanzo, secondo me, è il nono capitolo, intitolato “Exchange of powers”. May e le sue seguaci vogliono essere fecondate da Zed, che in cambio riceve tutta la loro conoscenza, e infine si accoppia ancora con Avalow, che gli consegna il cristallo che gli permetterà di conoscere i segreti del del Tabernacolo. Qui la prosa di Boorman e Stair unisce una strepitosa forza visionaria con un grande pathos drammatico, raccontando con grande coinvolgimento le emozioni di Zed di fronte alle due fasi del rito, prima l’estasi non solo erotica ma anche spirituale nata dall’unione con le donne di May, poi l’avidità con cui l’uomo assorbe le informazioni dal cristallo. È un vero momento epifanico, intessuto di una potente vena immaginifica, in cui Zed scopre quelle verità a cui aveva sempre anelato.
Nella vexata quaestio se la fantascienza abbia o no
previsto Internet, Zardoz è un contributo molto interessante. In
riferimento al Tabernacolo, la parola “computer” non viene mai usata
riferita, ma la parola “network” sì. Il Tabernacolo infatti è per il
Vortex l’archivio elettronico ma anche il centro direttivo; gli Eterni
dispongono di un anello che li mette in contatto fra di loro e con il
Tabernacolo, dal Tabernacolo ricevono informazioni che visualizzano con
ologrammi che nascono dagli anelli e che possono scambiarsi l’uno con
l’altro. per usare le parole del romanzo:
“Per questo motivo il Tabernacolo non era un
cervello centrale, perché questo lo avrebbe reso un re. Era una rete di
linee di conoscenza che si intersecavano e si incrociavano quando le
circostanze lo richiedevano.”
Interessante a questo punto una dichiarazione di John Boorman tratta da un’intervista del 1985:
“Immagino che l’esistenza nelle città sia
diventata qualcosa allo stesso tempo impossibile e non necessaria, dal
momento che i mezzi di comunicazione, non solo orali ma visivi – i
computer ad esempio – avranno raggiunto un tale livello di perfezione
che chiunque potrà essere contattato immediatamente.”
Difficile fare il gioco delle reminiscenze con Il Signore degli Anelli, dal momento che più che al libro di Tolkien, Zardoz si rifà alla progettata rilettura di Boorman. Citando dalla stessa intervista:
Difficile fare il gioco delle reminiscenze con Il Signore degli Anelli, dal momento che più che al libro di Tolkien, Zardoz si rifà alla progettata rilettura di Boorman. Citando dalla stessa intervista:
“Ciò che mi interessava nel Signore degli Anelli
erano i suoi contenuti mitici (..) Anche Zardoz è una storia mitica (…)
Un’altra rassomiglianza è che Il Signore degli Anelli è ambientato nella
Terra di Mezzo, che sembra dispiegarsi in un continuum temporale
diverso dal nostro (…) Sebbene Zardoz sia ambientato nel futuro, abbiamo
l’impressione che sia un altro continuum temporale, che potrebba
acccadere nel nostro presente, se in precedenza il mondo avesse preso
un’altra direzione.”
Comunque, andando per tentativi, Frayn appare come un
equivalente di Gandalf, visto come un “mago” che manipola ma che allo
stesso tempo mette in contatto mondi diversi e separati. Senz’altro più
evidente la trovata degli anelli usati dagli Eterni come “terminali”,
anche se tutto sommato la sua funzione è opposta, visto che nel romanzo
rende invisibili, e che in Zardoz una delle sue funzioni è quella di
visualizzare riprese filmate. Cercando analogie si può notare come
Consuello sia una guerriera come Éowyn, mentre Avalow è giovane e dà la
conoscenza a un uomo come fà Arwen. Si sa che nel Signore degli Anelli
di Boorman c’è una scena in cui Frodo fa l’amore con Galadriel prima di
guardare nello specchio: come in Zardoz, il sesso in questa scena
prelude alla rivelazione.
Mario Luca Moretti
L’AUTORE
John Boorman
(Shepperton, 18 gennaio 1933) è un regista, sceneggiatore e produttore
cinematografico inglese. Sebbene di famiglia non cattolica, viene
educato dai salesiani. Dopo aver lavorato in una lavanderia a secco, si
interessa di giornalismo e alla fine degli anni cinquanta si occupa di
documentari per la TV. Nel 1962 diventa il capo documentarista per la
BBC Bristol. Dopo aver diretto nel 1964 una serie di documentari per la
televisione ai quali prende parte tra gli altri anche Tom Stoppard, gli
viene proposto di girare Prendeteci se potete (1965), la risposta dei The Dave Clark Five a Tutti per uno
di Richard Lester, veicolo promozionale cinematografico dei Beatles. Il
film non ha il successo sperato, ma due anni dopo, Boorman è ad
Hollywood dirige in Senza un attimo di tregua, un gangster-movie
tradizionale nei contenuti ma innovativo nella forma che fa leva
sull’interpretazione di Lee Marvin. E proprio con Lee Marvin arriva il
secondo film hollywoodiano, Duello nel Pacifico, con la star
giapponese Toshiro Mifune in una storia estrema e crudele con un pizzico
di ironia e richiami palesi alle avventure di Robinson Crusoe. Al
ritorno in Inghilterra dirige Leone l’ultimo (1970), tratto da
una commedia di George Tabori, che gli vale il premio per la miglior
regia al Festival di Cannes. Il tema della socialità e dei comportamenti
selvaggi dell’uomo “civile” torna nel suo primo grande successo di
pubblico, Un tranquillo week-end di paura (1972), con Jon Voight e
Burt Reynolds. Questo film gli valse anche la prima nomination
all’Oscar. Si stabilisce in Irlanda e nel 1974 dirige Zardoz, un film tra il fantascientifico e il mitologico, che divide la critica. Dirige poi il seguito de L’esorcista (1973, regia di William Friedkin), L’esorcista II: l’eretico (1977), che non raggiunge il successo del primo capitolo. Nel 1981 realizza Excalibur,
considerato una delle riduzioni cinematografiche più riuscite del
complesso di leggende di Re Artù e del Ciclo bretone. Seguono
l’autobiografico Anni ’40 (1987), sulla Seconda guerra mondiale vissuta da un bambino a Londra, e Dalla parte del cuore (1990). La foresta di smeraldo (1985) e Oltre Rangoon
(1995) derivano dall’esigenza dell’impegno sociale di Boorman. Il primo
è un appello ecologista, il secondo è un grido di aiuto per il popolo
birmano oppresso. Con The General, la storia in bianco e nero di
un ladro-gentiluomo irlandese che viene ucciso dall’IRA, Boorman ottiene
per la seconda volta il premio per la miglior regia al Festival di
Cannes. Nel 2004 torna di nuovo il suo impegno sociale con In My Country sul Sudafrica del post-apartheid. Ha in progetto una versione cinematografica delle Memorie di Adriano tratta dal libro di Marguerite Yourcenar. (Bio da Wikipedia)
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