Il mio sodalizio con Goffredo Boschetti
(che vorrei chiamare affettuosamente Vato come lo chiamavano i suoi
cari), comincia negli anni Cinquanta. Erano gli anni ruggenti del
primo dopoguerra quando tutto era da inventare, tutto da ripensare,
tutto da fare.
E cominciò subito con una invenzione
eclatante, la Galleria d’Arte Moderna di Torino che ci vide
vincere il concorso nazionale, il primo concorso nazionale per
un’opera d’architettura del dopoguerra con più di 40
partecipanti. Si doveva proporre il progetto di una nuova sede di
un museo: era un tema oltretutto simbolico destinato ad aprire un
percorso fondamentale nella ricostruzione del Paese: la cultura.
E dopo la vittoria, la realizzazione.
Questo successo diede subito smalto al
nostro lavoro che fra gli anni “60 e gli anni “80 (la
costruzione della Galleria a Torino si concluse nel 1959) è uno
degli studi emergenti nella cultura architettonica milanese e
nazionale.
Nel 1961 c’è un altro concorso
nazionale vinto e costruito: l’Istituto medico psico-pedagogico
‘Sante Zennaro’ a Imola, per la provincia di Bologna, poi nel
1968 comincia la lunga stagione della progettazione delle chiese
nell’ambito del programma a Milano
delle 100 chiese volute dal Cardinale
Montini e per le diocesi di Bologna, Mantova e Ferrara.
Se queste progettazioni (e
generalmente la immediata costruzione) sono di fatto momenti
emergenti rispetto al lavoro quotidiano, l’altra voce che
qualifica lo studio negli anni “80 è la attiva partecipazione alle
grandi imprese statali per l’edilizia popolare: INA Case e GESCAL
e il lavoro capillare della Cooperazione.
Per questo capitolo sono emblematici
gli anni dedicati alla Cooperativa milanese ‘L’Eguaglianza’
nome storico (il 1914 è l’anno di fondazione) della cooperazione
a capitale indiviso per la quale oltre alla ristrutturazione degli
edifici ‘storici abbiamo realizzato un intero quartiere a Trenno
(Milano) costruito dalla Cooperativa Sermidese.
Nella conduzione dello studio e nella
progettazione vera e propria, ciascuno di noi, dopo una ricognizione
comune dei problemi che ogni argomento da sviluppare comportava,
gestiva il lavoro in modo autonomo nell’ambito di un sereno e
proficuo dibattito. Questo consentiva un costante controllo comune
che dava senso alla libertà di immaginare e di produrre di
ciascuno di noi che era il fondamento vero della nostra
collaborazione.
E’ così che tutta una serie di
realtà edificate ha forti imprinting personali, fortemente
personali, di Vato e miei.
A lui va certamente assegnata tutta la
impostazione del complesso di Imola, la grande villa di San Siro,
la chiesa di Malcantone e quella di Melzo e l’idea iniziale della
chiesa degli Angeli Custodi e della Scala alla XIII Triennale,
oltre naturalmente a tutto quanto di progettato e di realizzato
nelle aree di Sermide e di Bondeno. Naturalmente questa è una
esemplificazione, solo una citazione di fatti emergenti fra i tanti
che in cinquant’anni di lavoro comune sono stati affrontati.
Ci sono stati lavori invece che
sistematicamente ci vedevano insieme a immaginare e a proporre: i
grandi concorsi prima di tutto. Lo studio è stato attivissimo
nella partecipazione a queste gare nazionali e internazionali che ci
consentivano, al di là della vicenda quotidiana, di guardarci
attorno, di studiare, di documentarci su problemi specifici, di
dialogare con colleghi giovani e meno giovani che si univano a noi
nel partecipare alla competizione. Voglio ricordare per tutti
l’architetto Franco Berlanda e il concorso per il Museo storico
della psichiatria a Reggio Emilia e il progetto di ridisegno del
Mulino Stuky a Venezia e il gruppo che operava attorno
all’architetto Giovanni Faggioli che fu con noi nel concorso di
Imola.
Alla fine di questa stringatissima
storia, fatta di sommi capi, che copre mezzo secolo di lavoro comune
voglio ricordare una presenza che ha segnato tutti gli anni di
attività dello studio che, visti ora, non esito a definire
entusiasmanti: l’architetto Carlo Francia amico fedelissimo e
collaboratore prezioso che ha dato realtà leggibile alle idee
inserendo nel dibattito il suo equilibrio e la sua competenza
insieme al nitore grafico che sapeva dare alle tavole dei progetti.
A Vato, alla sua memoria, in questa
occasione di ricordo che una comunità intera vuole dedicargli, va
il mio commosso ringraziamento per il lungo percorso di lavoro
comune condotto insieme con appassionata tensione intellettuale e
affettuosa e partecipe comunione emotiva.
Carlo Bassi
Nessun commento:
Posta un commento
Chiunque può inserire commenti, che sono moderati