martedì 12 maggio 2015

Ricordando Goffredo Boschetti



Il mio sodalizio con Goffredo Boschetti (che vorrei chiamare affettuosamente Vato come lo chiamavano i suoi cari), comincia negli anni Cinquanta. Erano gli anni ruggenti del primo dopoguerra quando tutto era da inventare, tutto da ripensare, tutto da fare.
E cominciò subito con una invenzione eclatante, la Galleria d’Arte Moderna di Torino che ci vide vincere il concorso nazionale, il primo concorso nazionale per un’opera d’architettura del dopoguerra con più di 40 partecipanti. Si doveva proporre il progetto di una nuova sede di un museo: era un tema oltretutto simbolico destinato ad aprire un percorso fondamentale nella ricostruzione del Paese: la cultura.
E dopo la vittoria, la realizzazione.
Questo successo diede subito smalto al nostro lavoro che fra gli anni “60 e gli anni “80 (la costruzione della Galleria a Torino si concluse nel 1959) è uno degli studi emergenti nella cultura architettonica milanese e nazionale.

Nel 1961 c’è un altro concorso nazionale vinto e costruito: l’Istituto medico psico-pedagogico ‘Sante Zennaro’ a Imola, per la provincia di Bologna, poi nel 1968 comincia la lunga stagione della progettazione delle chiese nell’ambito del programma a Milano
delle 100 chiese volute dal Cardinale Montini e per le diocesi di Bologna, Mantova e Ferrara.

Se queste progettazioni (e generalmente la immediata costruzione) sono di fatto momenti emergenti rispetto al lavoro quotidiano, l’altra voce che qualifica lo studio negli anni “80 è la attiva partecipazione alle grandi imprese statali per l’edilizia popolare: INA Case e GESCAL e il lavoro capillare della Cooperazione.
Per questo capitolo sono emblematici gli anni dedicati alla Cooperativa milanese ‘L’Eguaglianza’ nome storico (il 1914 è l’anno di fondazione) della cooperazione a capitale indiviso per la quale oltre alla ristrutturazione degli edifici ‘storici abbiamo realizzato un intero quartiere a Trenno (Milano) costruito dalla Cooperativa Sermidese.

Nella conduzione dello studio e nella progettazione vera e propria, ciascuno di noi, dopo una ricognizione comune dei problemi che ogni argomento da sviluppare comportava, gestiva il lavoro in modo autonomo nell’ambito di un sereno e proficuo dibattito. Questo consentiva un costante controllo comune che dava senso alla libertà di immaginare e di produrre di ciascuno di noi che era il fondamento vero della nostra collaborazione.
E’ così che tutta una serie di realtà edificate ha forti imprinting personali, fortemente personali, di Vato e miei.
A lui va certamente assegnata tutta la impostazione del complesso di Imola, la grande villa di San Siro, la chiesa di Malcantone e quella di Melzo e l’idea iniziale della chiesa degli Angeli Custodi e della Scala alla XIII Triennale, oltre naturalmente a tutto quanto di progettato e di realizzato nelle aree di Sermide e di Bondeno. Naturalmente questa è una esemplificazione, solo una citazione di fatti emergenti fra i tanti che in cinquant’anni di lavoro comune sono stati affrontati.

Ci sono stati lavori invece che sistematicamente ci vedevano insieme a immaginare e a proporre: i grandi concorsi prima di tutto. Lo studio è stato attivissimo nella partecipazione a queste gare nazionali e internazionali che ci consentivano, al di là della vicenda quotidiana, di guardarci attorno, di studiare, di documentarci su problemi specifici, di dialogare con colleghi giovani e meno giovani che si univano a noi nel partecipare alla competizione. Voglio ricordare per tutti l’architetto Franco Berlanda e il concorso per il Museo storico della psichiatria a Reggio Emilia e il progetto di ridisegno del Mulino Stuky a Venezia e il gruppo che operava attorno all’architetto Giovanni Faggioli che fu con noi nel concorso di Imola.

Alla fine di questa stringatissima storia, fatta di sommi capi, che copre mezzo secolo di lavoro comune voglio ricordare una presenza che ha segnato tutti gli anni di attività dello studio che, visti ora, non esito a definire entusiasmanti: l’architetto Carlo Francia amico fedelissimo e collaboratore prezioso che ha dato realtà leggibile alle idee inserendo nel dibattito il suo equilibrio e la sua competenza insieme al nitore grafico che sapeva dare alle tavole dei progetti.

A Vato, alla sua memoria, in questa occasione di ricordo che una comunità intera vuole dedicargli, va il mio commosso ringraziamento per il lungo percorso di lavoro comune condotto insieme con appassionata tensione intellettuale e affettuosa e partecipe comunione emotiva.

Carlo Bassi



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