giovedì 5 dicembre 2019

Paolo Conte

Paolo Conte

Nelson


Dopo averci fatto attendere nove anni prima di licenziare un nuovo album di canzoni inedite tra “Una faccia in prestito” ed “Elegia” (in mezzo c’era “Razmataz”, ma si trattava di altra cosa), Paolo Conte sembra proprio aver ripreso l’antico abbrivio: quattro anni tra “Elegia” e “Psiche”, solo due fra “Psiche” e questo Nelson. Che non è, si badi, né Mandela (ci sarebbe stato di che meravigliarsi, per l’Avvocato) né il giustiziere di Napoleone a Trafalgar (più plausibile, nel caso), ma un cane, un pastore francese nero volato via due anni fa, a cui Conte ha voluto di conseguenza dedicare questo disco. In cui non compare in canzone, ma in immagine, sulla stupenda copertina, come (quasi) sempre opera dello stesso chansonnier.
Venendo al dettaglio, diciamo subito che trattasi di album schiettamente contiano, sia nei ritmi che nei colori, nei testi (in italiano, francese, inglese, napoletano e – dovrebbe trattarsi di una primizia – spagnolo) come nell’approccio interpretativo. Scorrendo quelli che un tempo si chiamavano “solchi”, c’imbattiamo subito in uno dei vertici del lavoro, quel Tra le tue braccia che parte in soffice piano e voce per poi aprirsi a una fragrante aria di clarinetto.
Dopo quest’avvio avvolgente e sinuoso, ecco il più brioso, swingante (stile manouche) Jeeves, altro notevole episodio, cui segue Enfant prodige, primo testo “altro” (in francese), con qualcosa che – magari alla lontana – ricorda un Léo Ferré. Siamo comunque in presenza di un’altra ballad non poco seduttiva, in un clima che di fatto si allarga alla successiva Clown, testo breve (otto versi) incastonato a chiazze tra sviluppi strumentali morbidi quanto a loro modo epici, solenni, con qualcosa che può rimandare alla gloriosa “Max” (ben più “eroica”, peraltro). Prima danzante e poi scoppiettante Nina, seguita a sua volta da un dittico di spessore composto da Galosce selvagge e dalla breve, quasi aforistica, Storia minima.
Dopo un episodio un po’ interlocutorio, C’est beau, officiato dalle voci anche di Laura Conti e Jino Touche, nuovamente maiuscola è Massaggiatrice, che di fatto sulla stessa musica di Enfant prodige apre uno squarcio squisitamente contiano (“mentre lo fai/ metti una musica/ monotonia/ fatta di plastica”, e più oltre “massaggiatrice, pianista, tu/ sola con me che non so di te/ niente…”), rilassata/indolente/complice. Dopo un’altra sorta d’intercapedine (Sarah, in inglese), ecco la corpulenta, fisica fin dal testo, Sotto la luna bruna, con fisarmonica e violino sugli scudi.
Si torna a salire nel trittico che segue, fra Suonno è tutt'o suonno, uno dei non molti brani di Conte in napoletano, allusivo (o elusivo?) e come evaporato, Los amantes del mambo, lieve fin quasi ad apparire dimessa, e soprattutto L’orchestrina, rubiconda e saltellante, con begli intarsi di fiati (specie la tromba “araldica” di Mandarini) e fisarmonica, e una nuova chicca testuale (“nel buio echeggia una scorreggia”) che non può non riportarci a certi “colori” del Conte d’antan. Non imperdibile, infine, la conclusiva, ballabile ed estroversa, Bodyguard for Myself, uno di quegli episodietti minori (per lo più in inglese, come appunto qui) che s’incontrano di tanto in tanto lungo il generoso rosario di gemme contiane.
Concludendo, magari non siamo in presenza di uno degli indispensabili di Monsieur Conte, ma pur sempre di un signor disco. Esattamente come non tutti i Picasso sono delle Demoiselles d’Avignon, ma rimangono pur sempre dei Picasso... 
http://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/nelson/

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