domenica 5 gennaio 2020

Gian Maria Volontè

Una volta, sarà stato nel 1990, arrivò in redazione al "manifesto", dirottata nella sezione spettacoli, una lettera di Gian Maria Volontè. Conteneva l'immagine di un rudere chiamato "la Cosa" e il testo che accompagnava la foto ironizzava pesantemente sul processo di squagliamento del PCI, avviato poche settimane prima alla Bolognina* dal segretario del partito Achille Occhetto. Era un suo contributo appassionato, meticoloso come i suoi celebri quaderni-partitura di lavoro, malinconico come era allora dopo la lotta contro il cancro, ma anche di tagliente sarcasmo, al dibattito che Luigi Pintor aveva promosso per criticare quel che ci sembrò - a noi e a Gian Maria - un'involuzione esiziale, più che una evoluzione spregiudicata del più "grande partito occidentale della sinistra". Volontè, militante comunista da sempre, consigliere regionale del Lazio per sei mesi (troppo indipendente per sopportare i burocratici: «Non faranno di me un funzionario!»), polemico con l'abbraccio-alla DC e poi espulso dal partito per avere   giustamente smascherato come fake news il Processo 7 aprile mettendo in salvo con la sua barca Scalzone in Corsica, mai nostalgico di Bad Godesberg
*, credeva nella costruzione di un partito rivoluzionario moderno. Capace cioè di addomesticare, dal basso, e per il bene di tutti, perfino il nuovo diavolo, globalizzazione + neoliberismo. Gli avrebbe dedicato tutto se stesso, come fece, battagliero, sul set dei suoi film, come fece in tutti i conflitti esistenziali, politici, sociali, sindacali e culturali che seppe scatenare. In queste settimane di Sardine inquiete mi piace ripensare al racconto fatto da Angelopoulos delle sue ultime ore di vita. Quando, in fondo all'autobus che lo riposta in Grecia da Skopje, set di Lo sguardo di Ulisse (Volontè morì durante le riprese e venne sostituito, ndr), beve e scherza con i compagni d'avventura e poi, da solo, canta Bandiera rossa, Bella ciao e tutte le altre canzoni della sinistra italiana. Gli inni dei proletari senza rivoluzione che lui ha appassionatamente amato per tutta la vita
Roberto Silvestri in FILM TV n.53

2 commenti:

  1. Con svolta della Bolognina (o semplicemente "svolta"[1] o, più comunemente, "Bolognina"[2]) si indica quel processo politico che dal 12 novembre 1989, giorno dell'annuncio della svolta, a Bologna, al quartiere Navile (ex Bolognina), porterà il 3 febbraio 1991 allo scioglimento del Partito Comunista Italiano e alla sua confluenza nel Partito Democratico della Sinistra

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  2. Il programma è stato notevole soprattutto perché con esso, per la prima volta e quindi segnando una rottura, la SPD ha abbandonato formalmente l'ideologia marxista[1]. In particolare con il programma di Bad Godesberg ha espressamente abbandonato la finalità di capovolgimento rivoluzionario della società, consolidando in tal modo formalmente un percorso che aveva già intrapreso dal Programma di Erfurt del 1891. Inoltre la SPD riconobbe l'economia di mercato e si disse espressione del popolo intero e non dei soli lavoratori.

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