Sull’onda della Nouvelle Vague si sviluppa un genere nuovo,
quello del cinema etnografico, di cui un esempio è sintetizzato dalla
cinematografia di Jean Rouch, celebre antropologo e documentarista. Lo
sviluppo tecnologico legato al cinematografo influenza l’utilizzo dello
strumento filmico come testo e strumento di indagine
socio-antropologica, come si evince dalle opere dell’etnografo francese.
La specificità richiesta verterà infatti sull’analisi di un lavoro di
carattere più “sociologico” realizzato a fianco di Edgar Morin, Chronique d’un étè
(1960), documentario in presa diretta in cui vengono setacciate le
condizioni di benessere nella Francia dei primi anni sessanta, in cui le
tematiche proprie di un filone sociologico riconducibile alla
microsociologia si interseca e confluisce in sentieri antropologici
basati sulle trasformazioni delle varie individualità, a loro volta
specchio della modifica della quotidianità. La Parigi degli anni
sessanta rappresentata in qualità di cattedrale del consumo e del
consumismo europeo risulta essere un’intuizione quasi avanguardistica.
Più stratificata ed eurocentrica di Londra, Parigi assume in sé tutte le
contraddizioni e le ambiguità del colonialismo imperialista,
contraddizioni che esplodono nella cadenza quotidiana degli
intervistati, acquistando il tono di riflessioni filosofiche.
Rafforzato dallo sviluppo contenutistico del cinema il quotidiano cessa
di essere «banale», diventando perno per la narrazione: se da un lato è
il perno materiale e affettivo intorno a cui ruota la vita di ogni
individuo, dall’altro è il luogo in cui si riproduce l’ordine della
società. Il film ha un nuovo approccio al cinéma-vérité, un
film etnografico con la funzione di esperimento sociale, girato con vene
documentaristiche. Edgar Morin è un sociologo con già diversi studi sul
ruolo incisivo del cinema all’interno della società (sfociando non di
rado nell’antropologia) e Jean Rouch, un antropologo, hanno deciso
consapevolmente di girare in presa diretta, senza una sceneggiatura i
cineasti intraprendono il loro viaggio, indagando gli stili di vita dei
diversi intervistati, focalizzandosi particolarmente su ciò che
favorisce le loro condizioni di benessere. Il film è profondamente
radicato nel contesto sociale ed economico che vedeva coinvolta la
Francia all’inizio degli anni Sessanta, le guerre coloniali in corso in
Africa e la nuova stratificazione sociale presente sul territorio
nazionale, in cui le vite lavorative dei soggetti e le loro realtà
socioeconomiche, diventano i vari poli su cui impostare le varie
interviste. L’impiego di una diversa strumentazione ha
di certo favorito un avvicinamento, un’entrata più efficace nella
dimensione individuale dei singoli soggetti: la cinepresa, attraverso
una tecnica capace di produrre riprese più dilatate ed un montaggio più
esteso, diviene, metaforicamente, l’estensione corporea dell’operatore,
contribuendo a modulare l’approccio all’intervista.
La ricerca sul rapporto tra il cinema e la società si interseca con
gli studi di Edgar Morin, incentrati sull’immaginario individuale. Il
filosofo francese si pone l’obbiettivo di interrogare il cinema e di
restituirlo come ambito di partecipazione affettiva, l’estensione
dell’industria culturale in grado di incidere sulle emozioni. Lo
spettacolo cinematografico, infatti, sembra dotato di una “componente
magica”. Nel cinema, infatti, si realizza quella convergenza tra
l’immagine della realtà esterna e l’attitudine dello spettatore che
attua una proiezione identificativa, atteggiamento umano naturale che si
attua come partecipazione affettiva. Si realizza una simbiosi tra
sistema cinematografico e flusso psichico dello spettatore, sistema che
tende ad integrare il flusso del film nel flusso psichico dello
spettatore.
Chronique d’un’éte assume il compito di mostrare un tipo di
realtà non solo “vero” ma quanto meno verosimile, usando la cinepresa in
sostituzione della funzione visiva dell’occhio umano e sfruttando le
nuove relazioni create dall’interazione degli attori con i registi come
strumento per catturare e comunicare le modifiche sulla percezione della
realtà. Una verità prodotta secondo suoni e immagini, dai quali non
viene alterata, semmai evidenziata.
http://www.barbadillo.it/85386-artefatti-edgar-morin-jean-rouch-la-sociologia-e-il-cinema-alle-origini-del-cinema-verita/
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